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Calcioscommesse, Demetrio Albertini: "I nuovi giocatori come aziende, ma senza basi"

Fabrizio Biasin
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Demetrio (Albertini, enorme ex campione del nostro calcio, ora presidente del settore tecnico Figc) la situazione è allucinante. E parlo del nuovo caso scommesse, guarda un po’.
«Sì, lo è. E la colpa è dei ragazzi coinvolti, ovvio, ma anche nostra, di noi che facciamo parte del mondo del pallone».

E perché mai?
«Alla fine della mia generazione abbiamo vissuto il “vero”, calcio -scommesse quello dove addirittura si alteravano i risultati. Ora, dopo solo una manciata di anni, siamo tornati a vivere un problema che è diverso ma che evidentemente abbiamo sottovalutato».

Vuoi dire che in questi anni...
«...Si è fatto molto poco. Non c’è stata educazione al problema, non se n’è praticamente mai parlato».

 

 

 

Insomma, si poteva evitare di fare la conta dei giovani calciatori che si mettono a scommettere. Sono usciti alcuni nomi e a quanto pare l’elenco è lungo...
«Io dico solo che abbiamo a che fare con una generazione di ragazzi impreparati, sono sommersi dagli input ma non hanno gli strumenti per gestirli e... cadono stupidamente in tentazione».

Così fai passare i ragazzi per ingenui.
«Non sto dicendo questo, dico che tra social, internet e altre “opportunità” le probabilità di sbagliare aumentano, soprattutto in mancanza di una vera e necessaria “educazione”. E te lo dico da padre di un ragazzo di 22 anni».

In effetti ai vostri tempi al massimo giocavate a carte...
«Neanche! A Milanello erano vietate. Al massimo biliardo o ping pong. Ma noi eravamo “semplici” calciatori, non avevamo la cosiddetta “finestra sul mondo”. Oggi è tutto diverso, noi parliamo di ragazzi ma non è così, lo sono solo anagraficamente».

E cosa sono?
«Vere e proprie aziende. Anzi, sono “aziende nelle aziende” mandate allo sbaraglio. Prova a pensare a cosa facevi tu a 20 anni, probabilmente studiavi, loro si ritrovano con una montagna di soldi, una marea di “lupi” attorno e non sanno nemmeno come si apre un conto in banca. Nessuno fa fare un percorso a questi giocatori per insegnare loro cosa vuole dire “essere professionista”. Una persona comune certi step li può fare a 25 anni, un calciatore non può perché è già a metà della carriera e se non ha seminato bene... rovina tutto».

Come si risolve ’sto delirio?
«Beh, intanto dovremmo iniziare a dirci le cose in faccia, e parlo anche di noi dirigenti. Basta pensare a soluzioni “post”, proviamo ad affrontare le cose “prima”. Siamo tutti responsabili, io compreso. Da noi si tende sempre a nascondere la polvere sotto il tappeto invece è arrivato il momento di tirare fuori tutto».

 

 

 

Sei per punire i giocatori che verranno ritenuti responsabili di questo nuovo “casino”?
«Ci sono delle regole e delle sanzioni codificate. Detto che bisogna ancora appurare le responsabilità personali e non farsi prendere dalla voglia di colpevolizzare prima del tempo... stiamo parlando di cose serissime. Spero che i ragazzi coinvolti possano chiarire le loro posizioni e tornino presto in campo - guai a godere delle disgrazie altrui -, ma chi ha sbagliato pagherà come è giusto che sia».

Al netto dell’impreparazione, ti sei chiesto perché un ragazzo che ha tutto commetta “peccati” di questo genere?
«Banalmente, molti non sanno gestire la noia, è un problema comune che porta a inciampare in errori clamorosi. Non solo le scommesse, pensa anche ai social, ai post... Pubblicare un post in un modo o nell’altro dà un percepito completamente diverso della propria persona. I procuratori, gli agenti, i cosiddetti “entourage dei calciatori” sottovalutano queste cose che invece sono importantissime».

Ai tuoi tempi non ci si annoiava?
«Anche noi avevamo i nostri problemi e commettevamo errori, altroché. Ti racconto questa: a 18 anni sono nella Primavera del Milan ma Sacchi mi ha già fatto “assaggiare” la prima squadra. Non torno a casa da due mesi, sempre rinchiuso a Milanello. Un giorno finisco l’allenamento, mi cambio nello spogliatoio della Primavera e torno a casa, all’oratorio del mio paese. Avevo bisogno di vedere i miei amici. Alle 18 c’è la riunione tecnica, il giorno dopo c’è il derby, sono convocato e... Demetrio non c’è!».

Chissà Sacchi...
«Si è arrabbiato, mi ha lasciato in tribuna, ha detto “io non avrei mai perso l’occasione di vivere un derby”, ma io davvero non ce la facevo più».

Non è tutto oro...
«Ci sono tanti privilegi, ma bisogna saper gestire le proprie vite sportive. Da presidente del settore tecnico ho inserito dei corsi per aiutare i ragazzi, bisogna sempre ricordarsi che le loro carriere, se tutto va bene, durano “solo” 10 o 15 anni, non possono permettersi di sbagliare. Altrimenti rischiano di ritrovarsi coinvolti in scandali più grandi di loro». 

 

 

 

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