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Stefano Pioli, fino alla fine con le sue idee: nessuna mezza misura

Claudio Savelli
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Stefano Pioli ha deciso che non ci sarà una mezza misura. Se mai dovrà finire, la sua avventura rossonera finirà con un Milan che gioca come lui desidera. Con il suo modulo preferito, difendendo in avanti, mandando un terzino - Calabria a fare un altro ruolo, a costo di farsi infilare da Mbappé, e con due ali che corrono verso l’area avversaria e mai verso il fondo del campo. Le squadre di Pioli hanno sempre giocato così, tutte, nessuna esclusa, e torna a farlo anche il Milan contro il Psg. 

Questa estrema, quasi ossessiva, coerenza del mister alle sue idee da un lato è un difetto - manca flessibilità in tempo di crisi -, dall’altro è un pregio. Perché Pioli, così, agli occhi della squadra è un uomo credibile. Si dimostra convinto di quanto propone e disposto a scommettere tutto, anche a costo dell’esonero- estremizzando il concetto, visto che la dirigenza non lo ha mai davvero preso in considerazione. La reazione del Milan è arrivata, quindi, perché il riferimento principale non lascia ma raddoppia. Pioli ha messo in gioco se stesso e ha aspettato che la squadra facesse la sua scelta: con me o contro di me. La scelta è arrivata, il gruppo è con il mister. Il Milan che contro l’Udinese pochi giorni fa sembrava una squadra in fin di vita è d’un tratto vivissimo. 

Certo, il contesto fa la sua parte, il Meazza è straordinario fin dalla coreografia e offre l’ennesima lezione di tifo agli altri. Si prenda a tal proposito la Lazio che, per via delle polemiche tra i tifosi e la proprietà, deve giocare in un Olimpico mezzo vuoto la partita decisiva. La squadra di Sarri vince di reazione e sistema il girone, esattamente come il Milan, ma non può godere della stessa cassa di risonanza offerta da uno stadio pieno. Sia Lazio sia Milan vivono tutta la partita con un’idea corretta in testa: la Champions è una centrifuga che toglie energie ma, di contro, dà la possibilità di sistemare una crisi nel giro di 90’. Così i tifosi ottengono ciò che cercavano: una coraggiosa assunzione di responsabilità. 

Si vede in Immobile e Leao che si comportano da leader, non solo per i gol ma soprattutto per le corse all’indietro e la continua richiesta di palloni pesanti. Al portoghese bisognerebbe chiedere come mai nelle partite “normali” non si comporta così, ma la risposta è facile: non è ancora il leader che gli si chiede di essere. Però per la prima volta nella sua carriera dimostra di volerlo diventare. Detto che la formazione titolare rossonera, se vuole, ha personalità, ora tocca valutare la possibile controindicazione: una reazione così feroce e istintiva non è eterna. Una volta che la fiamma si spegne restano la lucidità, la consapevolezza e l’organizzazione. 

Il Milan è arrabbiato, non lucido, tant’è che Leao polemizza con il suo pubblico dopo il gol. E qui deve migliorare. La partita può dare consapevolezza e sull’organizzazione ci sono miglioramenti: Pioli infatti ripristina il 4-2-3-1 che, semplicemente, sa allenare meglio. È più nelle sue corde e aderente al credo che, come detto sopra, non è disposto a cambiare. 

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