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Pioli, crisi Milan senza più scuse

Claudio Savelli
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Il Milan è una squadra ormai incapace di evolvere. Gioca con tanta foga e poca testa. Non è in involuzione, sarebbe ingeneroso. È ferma sul posto. Con la differenza rispetto ai tempi d’oro delle energie, dell’entusiasmo e delle risorse. A tal proposito, Thiaw allunga una lista di infortuni fuori dal mondo, per cui qualcuno all’interno dello staff dovrebbe essere sotto inchiesta.

Nessun grande club che gioca più competizioni conta così tanti problemi muscolari in Europa e il Milan non ha una rosa anziana, al contrario ha quasi solo giovani. La società si interessa a questa ecatombe? Ne chiede conto? Il processo allo staff dovrebbe essere partito da tempo, quello a Pioli pure. Da tempo l’impressione è che il ciclo dei rossoneri sia in fase calante. La posizione in campionato, ancora buona, cancella i presupposti per questi pensieri, ma chiunque guardi il Milan con costanza sente sulla pelle questa sensazione di incompiutezza. O, peggio, di impotenza. Di un qualcosa che ha dato il meglio e non ha più molto da scoprire e da offrire.

Il Milan ha problemi che si ripetono e non vengono mai sistemati. La fase difensiva è approssimativa, le marcature preventive sono inesistenti, non c’è filtro in mezzo al campo, non c’è equilibrio, non c’è la capacità di consolidare il possesso e, conseguenza di tutto, le distanze non sono corrette. C’è sempre spazio tra le linee per i trequarti del Dortmund, che infatti segnano facilmente. Il Milan è Chukwueze che gioca in modo coraggioso, sì, ma è caotico e confusionario. Troppo per reggere a questi livelli.

 

 

 

Quella del Milan è una crisi di gioco, di identità che non paga più, di emozioni. Di solito questo tipo di crisi anticipa quella dei risultati. A meno che non si intervenga in tempo. La Lazio, invece, stavolta si propone come esempio. Conferma che le italiane in questi ultimi anni hanno capito cos’è una competizione europea. Non un dispendio di energie ma un’occasione per migliorare. La vecchia mentalità mediocre delle nostre formazioni nello scorso decennio può dirsi dismessa. Meno male. Hanno finalmente capito che nel calcio contemporaneo è più difficile spegnersi e riaccendersi che non rimanere sempre accesi, quindi non approcciano più alla Champions come un impegno che toglie energie al campionato. Al contrario, se la Lazio in campionato si spegne, usa l’impegno infrasettimanale per ritrovare se stessa. Immobile ne è manifesto: entra, spacca la partita con il Celtic e proietta la Lazio agli ottavi di finale nel momento più grigio della sua carriera. Vinci in Europa e trovi energie che non pensavi di avere per la serie A: ovvio, no? Eppure per anni è stata raccontata un’altra storia. Era un dito dietro al quale ci si è nascosti a lungo. Pure Sarri, un critico dello stato dell’arte del calcio, si è reso conto che i punti persi in campionato non dipendono dall’Europa. Anzi, che facendo bene in questa competizione si possono recuperare sia nel breve periodo sia nel lungo. Un girone di Champions ben fatto fa crescere più di un paio di campionati. Anche la Lazio se ne è resa conto.

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