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Jannik Sinner? Una tradizione tutta italiana: rompergli i maroni...

Fabrizio Biasin
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Esiste una tradizione del tutto italiana che potremmo intitolare “quanto ci piace rompere i maroni al più bravo”. È una fattispecie masochista e tipicissima che porta l’osservatore tricolore, il commentatore, il critico o il semplice tifosotto ad attendere l’inciampo del n°1 per scatenare tutto il suo livore, l’antipatia, la frustrazione, per trovare il pelucco e trasformare una semplice sconfitta (si chiama “sport”, succede) in un caso.

È successo a molti, di recente a Jannik Sinner, giovane fenomeno del tennis sconfitto nei quarti di Wimbledon l’altro giorno. ’Sto ragazzo è reduce da un annodi lavoro e risultati che definire “ad altissimo livello” gli fai un torto, perché la verità è che ha fatto molto di più, qualcosa di raro e certamente mai visto prima nel tennis italiano. Prendete la stagione in corso: 42 vittorie e solo 4 sconfitte (nessuno come lui), 4 titoli (Australian Open, Rotterdam, Miami, Halle), primato nel ranking Atp, mai una parola fuori posto.

Tutto questo dopo la sconfitta al 5° set rimediata contro Medvedev (e un evidente malessere fisico nel 3°) è stato tradotto con frasi come: «È fragile», «Non sa gestire i quinti set», «Ha dei limiti di carattere fisico», «Ha preso freddo e perso energie per andare a vedere la fidanzata Anna Kalinskaya e questo un grande professionista non lo deve fare».

 

E tutte queste cose non le ha dette/scritte Capitan Trinchetto al Bar Sport (o meglio, non solo lui), ma anche qualche esimio giornalista, di quelli che soffrono quando tutto va troppo bene e hanno bisogno della caduta, la brutta figura, qualunque cosa per trasformarsi in inquisitori e snocciolare la lezione: «Non si fa così, deve crescere». Detto a un ragazzo di neanche 23 anni che di tutto questo, giustamente, se ne fotte. E infatti non replica e va avanti serenamente per la sua strada, quella che lo ha portato in cima all’Everest della racchetta. Capitan Trinchetto, amico mio, arrenditi.

 

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