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Juventus, perché quella di Motta è di livello

Claudio Savelli
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Ecco d’un tratto la nuova Juventus. Ma stavolta per davvero. Dopo cinque anni di promesse non mantenute, di rivoluzioni che in realtà erano restaurazioni, di giochi di potere in famiglia, di dimissioni e incursioni in tribunale, la vecchia Signora si è finalmente data un tono. Ha iniziato un progetto che non ha nulla di innovativo nel panorama calcistico contemporaneo ma è nuovo in questa società. Come per incanto, senza la necessità di specificarlo, il motto su cui la Juventus ha fondato la propria storia è andato a farsi benedire. Cancellato perché tossico, una falsa promessa, una zappa sui piedi. Vincere conta ancora, ma non è «l’unica cosa». È più importante giocare, inteso come proporre un’identità di gioco che mira a prevalere su quella rivale, non ad annullarla. Ed è ancora più importante tornare stabilmente competitivi ai massimi livelli per un periodo di tempo lungo, non soltanto occasionalmente.

MATURA
Se prima il concetto di vittoria era la causa delle scelte e delle azioni, ora è una conseguenza delle stesse. Per questo abbiamo visto una formazione “non da Juventus” all’esordio contro il Como. A proposito, la prova è stata ottima ma va presa con le pinze perché arriveranno i momenti di crisi e allora la tifoseria dovrà dimostrarsi matura come si professa. Facile sostenere Thiago Motta ora, difficile farlo quando scivolerà. E succederà visto che la rosa è dannatamente corta e lo sarà anche con Koopmeiners, Nico Gonzalez (offerti 30 milioni più 5 di bonus) e Kalulu (oggi le visite mediche). Intanto con gli infortuni di Thuram e Weah, per entrambi una lesione di basso grado del bicipite femorale e rientro dopo la pausa per le Nazionali, sarà dura affrontare Verona (lunedì) e Roma.

 


In ogni caso, la rivoluzione è cominciata quest’anno perché prima non era possibile. La nuova dirigenza era impegnata nelle partite in tribunale piuttosto che nella stesura di un nuovo progetto; l’incaricato per il suddetto progetto, Giuntoli, l’estate scorsa era arrivato a mercato iniziato; Allegri, ultimo baluardo della vecchia Signora agnelliana, aveva ancora due anni di contratto da consumare, non uno su cui trattare la buonuscita; i giocatori dagli ingaggi pesanti erano troppi per essere fatti fuori tutti in un colpo solo - e lo sono ancora, infatti l’unico ad aver rescisso è Szczesny, Rugani è stato prestato all’Ajax mentre sono ancora sul groppone Chiesa, Milik, Kostic e Arthur (questi ultimi due sono ora al centro dei discorsi con la Fiorentina). Ci vuole coraggio ad imporsi su così tanti giocatori, ma era necessario. Per essere competitivi sul lungo periodo bisogna lavora su chi ha futuro.

ESPERIENZA
Così Thiago Motta ha cancellato i cliché di Allegri per cui alla Juventus non si può essere giovani perché prima va fatta esperienza. Si è presentato con una formazione con 24,4 anni d’età media, la più giovane dal 1994 a oggi. I più vecchi in campo erano Di Gregorio e Bremer, portiere e difensore centrale, i ruoli solitamente in cui si punta sull’esperienza: 27 anni. Seguivano Gatti e Locatelli, 26enni, ed erano quattro in totale i titolari nati prima del 2000. Gli altri sette scelti da Thiago Motta sono nati dal 2000 in poi, e nella ripresa ne sono entrati altri due (Fagioli e Savona), mentre Douglas Luiz ha 26 anni. Trentenni impiegati? Zero. Nemmeno in lontananza. E la quota-esperienza che in teoria era Danilo, peraltro capitano della squadra, è rimasta in panchina per scelta tecnica e... filosofica.

 

 

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