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Mario Balotelli cerca lavoro: le foto fanno il giro del mondo

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Alessandro Dell'Orto
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Lo vedi in fotografia mentre, a 34 anni, si allena da solo con i pesi fisico asciutto, muscoli tesi e posa da culturista, quasi come nella famosa esultanza a petto nudo dopo la doppietta alla Germania negli Europei del 2012 - e ti viene da chiederti che fenomeno sarebbe potuto essere, Balotelli, se in passato ci avesse messo lo stesso impegno e la stessa determinazione di adesso (ma forse ne sarebbero bastati anche meno). Chissà quanti gol avrebbe segnato, quanto avrebbe vinto se, anziché sprecare una carriera da fenomeno per colpa di vanità, esuberanza, ingenuità, superficialità, avesse provato a mettersi a disposizione di allenatori e compagni seguendo le banali regole del football e dello spogliatoio. Vedere oggi SuperMario che, a mercato chiuso e dopo l’ennesima esperienza da giramondo (quest’ultima volta in Turchia, sei mesi all’Adana Demirspor: 16 partite e 7 reti), si allena da disoccupato in un campetto di provincia a Castegnato (Brescia) sa tanto di spreco e di “è troppo tardi”. D’altronde Balotelli ci ha abituati a grandi salite e ripide discese e la sua carriera è sempre come un elettrocardiogramma, fin dall’inizio. Sì, già dai tempi della prima squadretta, quella del San Bartolomeo.

SuperMario ha 7 anni e tanto talento, ma dopo poche settimane lo lasciano a casa perché non rispetta le regole e le mamme degli altri ragazzini si lamentano. Così va a giocare all’oratorio di Mompiano. Dribbling, gol, assist, Mario è immarcabile e lo notano le società di mezza Lombardia che poi, però, ripetono lo stesso ritornello: «Bravo, ma il carattere...».

 

 

IMPATTO
Solo il Lumezzane ci crede. E quando, a 15 anni, il giovane Balo gioca una partita di allenamento contro la prima squadra l’allenatore Sandro Salvioni resta incantato. Fa chiedere una deroga alla Figc e lo fa esordire in Padova-Lumezzane, serie C. Prima esperienza da calciatore vero, ma anche l’impatto con il lato ignorante del football italiano: dalle tribune arrivano fischi e buuuu e Mario scopre il razzismo. Il calcio italiano, invece, scopre un talento cristallino, pur se imprigionato in un carattere difficile. Balotelli si presenta all’Atalanta per un provino. A metà partitella l’arbitro fischia un fallo, Mario gli gli sputa addosso. Scartato. Va meglio con l’Inter e Moratti lo mette sotto contratto, lo cresce, lo lancia in serie A (e lui diventa un trascinatore, segna, fa segnare e vince tutto, ma viene anche attaccato dai tifosi per aver gettato a terra la maglia dopo una discussione con Mou) e poi lo vende al City. Mario diventa SuperMario in campo (nella nazionale italiana giocherà 36 volte segnando 14 reti), pur dovendo dribblare polemiche e ingenuità fuori dal campo. E non sono poche. Perché al City alterna prestazioni straordinarie a partite orribili, gol fantastici a espulsioni stupide, giocate da sballo a cazzate. Dopo tre anni il trasferimento per una stagione al Milan (14 gol in 30 presenze) e poi il passaggio al Liverpool.

Ma è l’inizio del lento declino: in Premier le cose non vanno benissimo e Balo torna in prestito al Milan, ma è frenato dalla pubalgia. Non gli resta che cambiare ancora e sceglie la Francia: prima il Nizza (tre stagioni, le prime due buone e la terza da dimenticare) e poi il Marsiglia. Come sempre, gli esordi fanno sognare e sperare, ma poi arrivano infortuni, guai, incomprensioni. Ed è meglio andarsene. Mario ci prova al Brescia, al Monza in sB, poi in Turchia, Svizzera. Sempre alla ricerca di un improbabile rilancio, sempre alternando sprazzi da campione a vuoti da talento sprecato. A 34 anni, ora, Mario non può più essere Super, ma chissà, in B potrebbe regalare ancora qualche soddisfazione. A patto di allenarsi sempre come nella fotografia: meglio tardi che mai.

 

 

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