Il 4-3 incassato dalla Juventus non è un semplice passo falso per l’Inter, ma un eco inquietante che arriva dal passato, la replica esatta di finali di partita già visti, di punti buttati per un inspiegabile eccesso di superficialità. Era successo proprio contro i bianconeri l’anno scorso, in un 4-4 folle dopo essere stati in vantaggio 4-2. È successo di nuovo, avanti 3-2 e poi addormentati nei dieci minuti finali. Il difetto, dunque, è congenito. Non si può imputare a Chivu, semmai chiamato a curarlo in tempi brevi. Non è un caso che ieri mattina, ad Appiano Gentile, Ausilio e lo stesso Chivu si siano rivolti alla squadra e, nello specifico, al nucleo storico. Se il paziente non si rende conto di avere un problema, la cura sarà meno efficace. Toni pacati, nessuna accusa, ma una richiesta precisa: è il momento di assumersi le proprie responsabilità. Il fatto è che l’Inter ha puntato tutto, per anni, sulla costruzione di questo gruppo storico. Parliamo di Lautaro, Barella, Bastoni, Dimarco, De Vrij, a cui si sono aggiunti leader esperti come Acerbi, Mkhitaryan e Calhanoglu. Ma questo nucleo, a ben vedere, è cresciuto in una serra. Lautaro ha solo intravisto le difficoltà del biennio di Spalletti ed era un giovane arrivato dall’Argentina per scoprire un nuovo mondo, di certo non il capopopolo che è ora. Barella e Bastoni sono stati inseriti quando c’era già Conte, un condottiero che per sua natura deresponsabilizza i giocatori, prendendosi tutto il peso sulle proprie spalle. Gli altri sono arrivati con Inzaghi, un tecnico che li ha sempre protetti con gerarchie chiare e mai in discussione, anche nei momenti peggiori.
TROPPE DISTRAZIONI
Quel momento peggiore, all’inizio del suo secondo annodi Inzaghi, ricorda sinistramente quello attuale: una squadra distratta che subiva gol facili nei momenti in cui c’era da mettere la testa, più che il gioco. Allora la ferita era lo scudetto perso contro il Milan; oggi può essere l’epilogo da zero titoli, anche se oggi come allora i diretti interessati dicono che è tutto archiviato. Quel gruppo impiegò mesi per azzerare e ripartire, svoltando solo in primavera. Questo? Quanto ci metterà, considerando che è praticamente lo stesso? La dirigenza e Chivu lo sanno e hanno chiesto senso di urgenza. D’altronde l’Inter non si trovava a -6 dalla vetta dopo 3 giornate dal terribile 2011 di Gasperini. Anche allora c’erano le stesse contraddizioni: un nucleo storico preservato e la difficoltà a staccarsi dal passato. Con una differenza: allora il pubblico osteggiava la rivoluzione, oggi la chiede a gran voce. Ma la società, per ora, non si rivolge a Chivu. Non è ancora il momento di chiedergli di più. Quando Marotta pungolava Inzaghi, lo era anche perché il mister, pur giovane, aveva esperienza. La richiesta è per il gruppo di leader di cui sopra. Devono fare un passo in avanti, capire che hanno l’età (26, 27, 28 anni) e l’esperienza (4, 5, 6 stagioni in nerazzurro) per leggere i momenti di una stagione. E questo è il momento di giocare come lo scorso anno si è giocato in Champions - e mercoledì si riparte dall’Ajax-, trovando godimento nei finali di partita in bilico (4 partite su 8 della prima fase le aveva vinte 1-0, oltre allo 0-0 contro il City e lo 0-1 di Leverkusen), sporcandosi le mani, indicando ai compagni il dovere del sacrificio, dimenticando il bel calcio quando servono i calci (anche in tribuna, ha detto Chivu). Tocca ai leader percepire il senso del pericolo che aleggia su un’annata che rischia di prendere una brutta piega. Tocca a loro e poi, soltanto poi, a tutti gli altri.