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Migranti, la sentenza: permesso di soggiorno garantito ai condannati

Paolo Ferrari
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La condanna per spaccio di droga non comporterà più d'ora in avanti il diniego automatico del rinnovo del permesso di soggiorno per il cittadino straniero. Lo ha stabilito ieri la Corte costituzionale che ha dichiarato l’illegittima dell'articolo del Testo unico degli stranieri secondo il quale in caso di condanna per fatti di droga viene meno il rinnovo del permesso. Ogni caso farà storia a sé e dovrà essere esaminato con attenzione dal questore il quale, prima di negare il permesso, valuterà l'effettiva pericolosità sociale del richiedente. La sentenza, relatrice Maria Rosaria San Giorgio, oltre allo spaccio di droga ha eliminato l’automatismo del diniego anche per coloro che sono stati condannati per aver venduto merci contraffatte. La questione di costituzionalità del Testo unico era stata sollevata dal Consiglio di Stato nell’ambito di due giudizi originati da ricorsi presentati da stranieri, la cui richiesta di rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di lavoro era stata respinta per effetto delle condanne riportate.

Come si legge nel dispositivo, la sentenza è «in linea con svariate pronunce - in cui erano state dichiarate illegittime disposizioni legislative che, nella materia dell’immigrazione, introducevano automatismi tali da incidere in modo sproporzionato e irragionevole sui diritti fondamentali degli stranieri -e in sintonia con la giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo». In altre parole, la Corte costituzionale ha chiarito che «il legislatore è bensì titolare di un’ampia discrezionalità nella regolamentazione dell’ingressoe del soggiorno degli stranieri sul territorio nazionale, tuttavia entro il limite di un ragionevole e proporzionato bilanciamento dei diritti e degli interessi coinvolti». Il cittadino a cui era stato negato il rinnovo era stato sorpreso con circa 20 grammi di hashish. La norma, per il piccolo spaccio, prevede la reclusione da 6 mesi a 4 anni e la multa fino a 10mila euro.

PERICOLOSITÀ
I giudici costituzionali hanno puntato sul fatto che l’automatismo del diniego è manifestamente irragionevole sotto diverse prospettive. La prima perché, per le stesse condanne, nell’ambito della disciplina dell’emersione del lavoro irregolare, volta al rilascio del permesso di soggiorno, quest’ultimo non è automaticamente escluso, ma implica una valutazione in concreto della pericolosità dello straniero. La seconda, invece, perché l’automatismo del diniego, riferito a stranieri già presenti regolarmente sul territorio nazionale (e che hanno iniziato un processo di integrazione sociale), è in contrasto con il principio di proporzionalità, come declinato dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, ai sensi dell’articolo 8 CEDU. Dunque, ha osservato la Corte, «ben può verificarsi che la condanna, nei casi considerati, non sia tale da comportare un giudizio di pericolosità attuale riferito alla persona del reo». E ciò per varie ragioni: la lieve entità e le circostanze del fatto, il tempo ormai trascorso dalla sua commissione, il livello di integrazione sociale nel frattempo raggiunto. Risulta, pertanto, necessario che, «nell’esaminare la domanda di rinnovo del permesso di soggiorno, l’autorità amministrativa apprezzi tali elementi, al fine di evitare che la sua valutazione si traduca in un giudizio astratto e, per ciò solo, lesivo dei diritti garantiti dall’articolo 8 CEDU».

ORDINE PUBBLICO
La Corte ha, infine, sottolineato che «l’interesse dello Stato alla sicurezza e all’ordine pubblico non subisce alcun pregiudizio dalla sola circostanza che l’autorità amministrativa competente operi, in presenza di una condanna per i reati di cui si tratta, un apprezzamento concreto della situazione personale dell’interessato,a sua volta soggetto ad eventuale sindacato di legittimità del giudice». La sentenza di ieri costituisce un precedente importante in quanto assegna grande discrezionalità ai questori. Sarà quindi necessaria una circolare da parte del ministero dell'Interno per mettere un “paletto” ad un concetto quanto mai evanescente e dai contorni labili quale quello della "lieve entità". In campo penale già oggi l'offensività della condotta non può infatti essere ancorata unicamente al quantitativo spacciato, ma occorre tener conto delle concrete capacità di azione del soggetto ed alle sue relazioni con il mercato di riferimento, avendo riguardo all’entità della droga movimentata in un particolare lasso di tempo, alla rete organizzativa, al numero di consumatori riforniti, alle modalità adottate al fine di porre in essere condotte illecite al riparo da controlli delle forze dell’ordine. Difficilmente, infatti, uno spacciatore ha addosso grandi quantitativi di sostanza stupefacente, proprio per non incorrere in caso di fermo in pene elevate. La pronuncia di ieri, come detto, riguarda solo i permessi di soggiorno per motivi di lavoro, non quelli per protezione internazionale, recentemente modificati dal governo.

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