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Immigrazione, "navi tedesche contro gli sbarchi": clamoroso in Europa

Claudia Osmetti
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Mezza Europa cerca di metterci una pezza. L’immigrazione, quel nodo che (l’abbiamo scritto centinaia di volte) o viene trattato a livello comunitario oppure nisba, ché col cerino in mano ci restano solo i Paesi del Mediterraneo, Italia in testa. E quel nodo che, invece, è rimasto intrecciato per troppo tempo.Stretto che manco una matassa. Con migranti rispediti indietro a Bardonecchia e tanti saluti anche alla cooperazione internazionale con la Francia.

Manfred Weber è il presidente del Ppe (al secolo, il Partito popolare europeo) e, adesso, cioè ora che a palazzo Chigi c’è il premier Giorgia Meloni (Fdi), lo dice chiaro: «Vorrei che l’Europa si assumesse di nuovo insieme la responsabilità. Oltre a sostenere organizzazioni di soccorso come la Sea-Eye (una delle due ong tedesche sottoposte a fermo nel porto di Ortona, in Abruzzo, da venerdì scorso), dovremmo inviare anche navi della polizia federale nel Mediterraneo, ad esempio per intraprendere un’operazione congiunta». Insomma, “mare nostrum”, ma mare di tutti. Anche dei tedeschi, degli olandesi, dei polacchi. Altrimenti ci si capisce no.

 

FRONTIERE
«È terribile pensare che noi europei torniamo in vacanza sapendo che in quelle stesse acque muoiono molte persone». La tragedia di Cutro, dopotutto, è lì da vedere. Tuttavia, continua Weber, «non possiamo dire che chiunque venga in Europa potrà restare, coloro che non hanno motivo di essere ammessi dovranno essere respinti e respinti alla frontiera esterna». Parole che in tanti hanno interpretato come un ulteriore riavvicinamento tra Ppe e Conservatori, in vista delle elezioni che nel 2024 potrebbero cambiare gli equilibri.

Sull’immigrazione, comunque, i concetti che i meloniani di ieri e di oggi ripetono da anni, che non significa essere razzisti o xenofobi o intolleranti: significa solo avere un po’ di senso pratico. Anche perché poi, alla fine, il problema resta italiano (o spagnolo o greco) e non si va più da nessuna parte. Anzi, monta una polemica (la solita, a essere sinceri) che la metà basta. Con le ong (le organizzazioni non governative) che “sfidano” l’esecutivo di Roma e il cancan di voci indignate (sempre di sinistra) che si leva a mo’ di concerto stonato.

LE SANZIONI ALLE ONG
L’altro ieri è capitato a due navi (la Sea-Eye e la Mare-go), entrambe tedesche, di essere sottoposte a fermo amministrativo sulla banchina di due porti italiani. Con altrettanti provvedimenti emessi a seguito di accertamenti dell’autorità coordinatrice dei soccorso (l’Imrcc Roma) e in base alla legge del 2023 sulle disposizioni urgenti in materia di transito e sosta nelle acque territoriali. Apriti cielo. La prima parla di «un altro riprovevole tentativo di criminalizzare il salvataggio in mare per giustificare un’azione statale sempre più brutale»; la seconda, dopo aver comunicato di non riuscire a completare le operazioni di salvataggio in cui era impegnata, racconta che «quel decreto legge è uno strumento per lasciare affogare la gente che emigra e impedire a chi fa solidarietà di intervenire»; e Sea Watch Italia sbotta che «lo Stato inventa leggi ingiuste per calpestare i propri doveri». 

Sul fronte opposto, quello del governo, è il sottosegretario al ministero dell’Interno Nicola Molteni (Lega) che ci mette un punto: «L’esecutivo non delega alle ong il controllo delle sue frontiere», commenta, «quei due fermi amministrativi sono scattati in violazione alle indicazioni del governo, alla prossima violazione scatta il sequestro. Non deleghiamo alle imbarcazioni private che battono bandiera straniera, e quindi sono finanziate da Stati estere, il controllo delle frontiere e del soccorso». Solo a Lampedusa, dove al momento è attraccata la Mare-go, sono sbarcati complessivamente 113 migranti, viaggiavano tutti si tre barchini che sono stati intercettati dalla Capitaneria di porto e dalla Guardia di finanza a una ventina di moglie dall’isolotto di Lampione. Sulla prima carretta c’erano 48 persone, tra cui quindici donne e due minori; sulla seconda 45 uomini. Ai soccorritori hanno detto di essere partiti da Sfax, in Tunisia. Da venerdì, sull’isola più a sud d’Italia, i disperati condotti negli hotspot sono quasi seicento (588). Tanto per dire.

 

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