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Immigrazione, la Cassazione vieta l'uso della parola "clandestino": ecco perché

Fabio Rubini
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Da oggi chi entra in maniera irregolare nel nostro Paese e subito dopo chiede asilo politico non potrà più essere chiamato “clandestino”. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con una sentenza del 16 agosto, con la quale ha condannato la Lega per un manifesto nel quale chiamava “clandestino” chi era arrivato in Italia senza avere lo straccio di un permesso per farlo. E se, vedremo tra poco, la sentenza in sé sostiene un principio tutto sommato ovvio, a lasciare perplessi è il fatto che la condanna riguardi un manifesto politico che esprime la posizione di un partito su un tema delicato come quello dell’immigrazione.

Prima di proseguire, però, riepiloghiamo i fatti che risalgono addirittura al 2016. Siamo a Saronno, in provincia di Varese. Lo Stato decide l’assegnazione di 32 richiedenti asilo a un centro di assistenza della parrocchia. Per protestare contro questa decisione la Lega convoca una manifestazione e stampa manifesti sui quali viene scritta la seguente frase: «Saronno non vuole i clandestini. Vitto, alloggio e vizi pagati da noi. Nel frattempo ai saronnesi tagliano le pensioni e aumentano le tasse. Renzi e Alfano complici dell’invasione».

 

 

 

LA DENUNCIA

Un’iniziativa che non piace a Asgi (Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione) e Naga (un’associazione che si occupa di migranti), che denunciano la Lega per «molestia discriminatoria» proprio per aver usato la parola “clandestini”. I giudici di primo e secondo grado danno torto al Carroccio e il 16 agosto la Cassazione mette la parola fine alla vicenda, condannando la Lega a pagare spese processuali e risarcimento alle due associazioni. Scrivono i giudici che «Gli stranieri che fanno ingresso nel territorio dello Stato italiano perché corrono il rischio effettivo, in caso di rientro nel Paese di origine, di subire un “grave danno”, non possono a nessun titolo considerarsi irregolari e non sono dunque “clandestini”».

La Cassazione poi, nel respingere la posizione della Lega che ha invocato il diritto di un partito politico alla libera manifestazione della propria posizione, scrive che «il diritto alla libera manifestazione del pensiero, cui si accompagna quello di organizzarsi in partiti politici, non può essere equivalente o addirittura prevalente, sul rispetto della dignità personale degli individui».

 

 

 

MOLTI DUBBI

Ligi all’assunto per il quale le sentenze si devono rispettare, ma si possono commentare, resta il dubbio su di un passaggio dei giudici supremi. E cioè sul fatto che non debbano essere considerati clandestini quelli che «corrono il rischio, in caso di rientro nel loro Paese di origine, di subire un grave danno». Ma come si fa a stabilire da dove arrivano se quando sbarcano sulle nostre coste non hanno lo straccio di un documento, rendendo spesso

COME FARE

Mentre la sinistra festeggia la condanna della Lega, ci resta ancora un interrogativo. Numeri alla mano, la quasi totalità delle domande di asilo presentate da questi “non clandestini” viene respinta per mancanza di elementi. A questo punto le persone che dopo essere entrate illegalmente nel nostro Paese si sono viste negate lo status di rifugiato, potranno essere chiamate clandestine senza che nessuno si arrabbi e faccia causa o il politicamente corretto ci costringerà a chiamarle “diversamente regolari”?

 

 

 

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