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Torino, l'imam all'ateneo? L'Occidente non capisce la minaccia dell'islam

Francesco Carella
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L’imam che predica all’interno dell’Università di Torino è solo l’ultimo episodio frutto di una catena di distrazione del mondo occidentale lunga decenni che prende avvio nel 1979 con la sottovalutazione della rivoluzione khomeinista per mezzo della quale si seppellisce storicamente l’esperimento tentato nel primo Novecento da Kemal Atatürk di laicizzare l’islam e si avvia il processo di islamizzazione dell’Occidente laico. Infatti, dal ’79 in poi Teheran diviene il centro propulsore di un fondamentalismo islamista segnato da due nemici: lo Stato di Israele (da eliminare dalle carte geografiche come ribadito da Ali Khamenei e dal leader di Hamas Haniyeh a margine delle celebrazioni funebri per la scomparsa del presidente Raisi) e le democrazie liberali corrotte e blasfeme.

In tal senso, varrebbe la pena di rileggere un breve saggio scritto dal grande arabista Bernard Lewis e pubblicato sul New Yorker nei giorni di maggiore entusiasmo da parte dell’intellighenzia europea per ciò che stava accadendo nelle città iraniane. Lewis aveva scovato nella Biblioteca dell’Università di Princeton un libretto firmato da Khomeini. «L’Ayatollah», fa sapere il professore «espone in modo chiaro quel che intende fare se riuscirà ad andare al potere: instaurare un governo islamico, una Teocrazia, da cui partire per sferrare una lunga guerra contro l’Occidente».

 

 

 

Furono parole dettate al vento. Così come furono spazzate via le profetiche affermazioni del Cancelliere socialdemocratico Helmut Schmidt, il quale comprese che si stavano ponendo le premesse per una lunga stagione internazionale dai contorni politici oscuri. Disse con chiarezza che «era giunto il momento di cominciare a studiare il Corano». Le preoccupazioni dello statista e quelle dello studioso furono liquidate dai dittatori del politicamente corretto come allarmi da parte «di chi non vuole fare i conti con il progresso». Sic.

Non sottovalutò la questione, invece, Samuel Huntington, il quale nel 1996 pubblicò The Clash of Civilizations. Lo studioso harvardiano in quel saggio illustra i pericoli che corrono le società aperte dell’Occidente dimostrando che «i punti caldi dello scacchiere mondiale si trovano lungo le linee di faglia delle diverse culture... Il vero problema non è il fondamentalismo come molti credono, ma l’islam in quanto tale. Una civiltà diversa le cui popolazioni sono convinte della superiorità della propria cultura e ossessionate dallo scarso potere di cui dispongono. Fino a quando l’islam resterà l’islam (e tale resterà) e l’Occidente resterà l’Occidente (cosa meno sicura) il conflitto fra queste due civiltà continuerà a segnare la nostra vita futura».

 

 

 

In molti ambienti accademici sia americani che europei il saggio venne presentato come «una ricerca confusionaria e priva di elementi fattuali». Il tempo ha dimostrato il contrario. Dall’attentato alle Twin Towers del 2001 alle sanguinose azioni terroristiche compiute in molte città europee, dai crimini dei tagliagole fino agli orrori commessi sui bambini e sulle donne lo scorso 7 ottobre in Israele dai terroristi di Hamas, le vittime si contano a migliaia. Nondimeno, una parte di pubblica opinione (lo attestano le manifestazioni degli ultimi giorni dove Israele viene messa sul banco degli imputati, mentre Hamas non viene mai citata) continua ad avere una scarsa percezione della reale minaccia che l’islamismo costituisce per l’Occidente.

La domanda da farsi, a questo punto, è: stiamo ancora sottovalutando gli obiettivi esplicitate da Khomeini nel lontano 1979, ovvero distruggere Israele e le democrazie liberali, o vi è qualcosa di più inquietante che riguarda il fatto che noi occidentali non crediamo più nei valori che hanno sostenuto fin qui la nostra vita democratica a partire dai diritti di libertà? Se permettiamo a un imam di predicare in un’aula universitaria, viene il sospetto che Bernard Lewis abbia visto giusto quando alcuni fa confidò a un giornalista di Die Welt che «l’Europa diventerà il Nord del Maghreb, avendo rinunciato a difendere la propria identità».

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