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Catalogna indipendente, la repressione di Madrid: il drammatico errore del governo Rajoy

Non è poi così scontato che i separatisti catalani vincano il referendum del prossimo primo ottobre. Tantomeno è scontato che in caso di vittoria ottengano una così ampia maggioranza da giustificare l' indipendenza su due piedi, dall' oggi al domani così come immaginato da Puigdemont e soprattutto come previsto dalla famosa ley de ruptura approvata dalla Generalitat nei giorni scorsi. Sempre che appunto si faccia 'sto referendum, dopo gli arresti di ieri. Ma se si farà è sicuro che il pugno duro mostrato senza troppa intelligenza da Mariano Rajoy ha magicamente moltiplicato le possibilità degli indipendentisti. Bisogna ammetterlo, non era facile per Madrid scegliere la strategia giusta di fronte all' incalzare delle iniziative legali o meno di Puigdemont. Alla fine però il governo centrale ha scelto quella più stupida e dannosa per la sua causa, cadendo nella trappola più o meno consapevole dei separatisti che ora, come stanno già facendo, potranno reclamare l' indipendenza con qualche ragione in più. Se prima la separazione della Catalogna dal resto della Spagna agli occhi di chi catalano non è poteva anche sembrare un capriccio folkloristico, o comunque una richiesta con poco senso pratico, ora è diventata una questione di diritti civili, di giustizia politica, di ribellione verso lo Stato oppressore e corrotto. Non a caso al carro dei separatisti indignati sono subito saliti anche altri indignati (o per meglio dire indignados), quelli di Podemos che finora avevano tenuto il piede in due scarpe, stando un giorno con gli indipendentisti, un giorno prendendone le distanza. Ma che non aspettavano altro che una mossa falsa di Rajoy per poter ergersi a paladini di quella legalità che mai in passato hanno rispettato. Pablo Iglesias, il loro leader (ed ex leader degli Indignados), parla di «vergogna per la Spagna», di «diritti civili sospesi», di un «partito corrotto che sta parassitando le istituzioni», di «prigionieri politici». E stavolta, con qualche precisazione, è difficile dargli torto. Ada Colau, la sindaca di Barcellona che fino a qualche anno fa okkupava le case dei cittadini catalani sbattendosene della legalità e delle istituzioni, dice che «è uno scandalo democratico che si perquisiscano le istituzioni e si arrestino cariche pubbliche per motivi politici». Ed anche in questo caso si fa fatica a sostenere il contrario. Una battaglia di sinistra certo, ma anche di destra, perché la democrazia non ha colore. Una richiesta legittima trasversale che ha finalmente conquistato le prime pagine di tutto il mondo. È diventata una notizia internazionale, il fatto del momento, e la bandiera a strisce gialle e rosse orizzontali è diventata la fotografia del profilo di migliaia di utenti di Facebook. Perfino Bruxelles è evidentemente rimasta spiazzata da Rajoy. Se prima pur tenendo un profilo molto basso si era schierata dalla parte del governo di Madrid non dando per scontato che Barcellona abbia diritto a un posto in Europa pur diventando indipendente dal resto della Spagna, ora tace con aria colpevole, in attesa degli eventi. Ma è solo perché se dovesse parlare dovrebbe per forza spendere qualche parolina contro le mosse azzardate di Rajoy e in favore di Puigdemont, sconfessando un anno e passa di guerra contro la Gran Bretagna che con un referendum, proprio come Barcellona, se n' è andata senza salutare. E così ogni capitale europea che fa finta di nulla perché sa benissimo che un giorno potrebbe ritrovarsi nella stessa situazione di Rajoy, dovendo fare i conti con i propri movimenti indipendentisti interni, e preferisce non dare ragione a Barcellona, né a Madrid. Preferisce fare lo struzzo. Che cosa succederà nelle prossime ore? Tutto dipenderà dal governo di Madrid: potrà continuare sulla linea del pugno duro tracciando un solco sempre più grande tra sé e la soluzione del problema, oppure tornare a trattare, dichiarandosi di fatto sconfitto. In entrambi i casi Rajoy sembra già politicamente spacciato. di Carlo Nicolato

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