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Wall Street Journal, le condizioni tossiche delle banche italiane: perché il Paese rischia il collasso

Andrea Tempestini
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Una approfondita analisi sulle banche italiane, il cui esito è preoccupante. Un lungo articolo firmato da Simon Nixon sull'autorevole Wall Street Journal, articolo ripreso da Milano Finanza e quindi da Il Foglio, che fa luce su passato e futuro dei nostri istituti. L'analisi muove da una considerazione sulla Federal Reserve, la banca centrale Usa, e sul Quantitative easing, ossia l'immissione di liquidità nel sistema finanziario, lo "stampare moneta". Una misura da più fronti auspicata anche in Europa: perché la Bce non polverizza i vincoli per poi poter fare lo stesso? Nell'analisi ci si chiede se l'allentamento quantitativo, nell'Eurozona, potrebbe avere successo. Ed è qui che entra in gioco l'Italia, dove lo "stampare moneta" - un concetto semplicistico, ma che rende l'idea - assumerebbe le sembianze di un test cruciale. Già, perché nel Belpaese, la terza economia dell'Eurozona, il debito al 135% del Pil sta soffocando ogni possibilità di ripresa. Un contesto nel quale le condizioni del credito concesso dalle banche continuano a degradare: serve liquidità, dunque, serve "stampare moneta". La verità dei test - Tutto semplice, no? Non proprio. Perché come ricorda il Wsj, se la misura "può soccorrere l'Italia, allora potrà soccorrere l'Eurozona. Eppure è difficile vedere" cosa il quantitative easing possa fare per l'Italia. Perché? Perché il nostro sistema versa in condizioni "tossiche". Le banche sono il principale canale attraverso il quale dovrebbe funzionare ogni stimolo monetario, ma proprio come lo Stato, i nostri istituto, sono soffocati da debiti e prestiti: questi ultimi sono pari al 53% del Pil, più di Francia e Germania. I prestiti bancari, inoltre rappresentano il 40% delle passività finanziarie complessive. E i recenti stress test condotti dalla Bce non hanno fatto che confermare il segreto di Pulcinella: i nostri istituti sono i più deboli di Eurolandia. Una cifra, su tutte: le nostre banche hanno sottovalutato le sottovalutazioni di 13 miliardi di euro, mica bruscolini. Inoltre gli stress test hanno mostrato come il nostro sistema bancario, fino a poco tempo fa, era gravemente sottocapitalizzato e dunque limitato nella capacità di elargire credito. Ora, dal punto di vista della capitalizzazione, qualcosa si è mosso, ma dal punto di vista del credito si è mosso molto poco: i rubinetti, per dirla con la più abusata delle frasi, restano chiusi. Problemi cronici - Già, perché il Wsj ricorda come un altro cronico problema delle nostre banche sia la redditività molto bassa, dovuta alle estese reti di filiali, ai grandi portafogli con basso margine, alla super-imposizione fiscale e al moloch della burocrazia che affossa il Paese. E poi la governance, il "governo" delle banche, altro quasi-unicum italiano: in generale sono controllate da fondazioni, da enti proni agli interessi politici locali. Si pensi, per esempio, a Mps: la fondazione deteneva il 30% della banca, quota precipitata al 2,5% dopo gli scandali. Un mutamento, quello di Mps, indotto dalla grande crisi, che sta cambiando la fisionomia degli istituti quotati in Borsa. Ma la rivoluzione, o più semplicemente il cambiamento, in Italia viaggia sempre col freno a mano tirato. Il Wsj cita l'esempio della Spagna, che "ha spazzato via regole analoghe (sulla governance, ndr) aprendo la strada a un necessario consolidamento". Dunque l'avvertimento: "Finché l'Italia non adotterà simili riforme, un sistema bancario poco capitalizzato, appena profittevole, faticherà a fornire credito all'economia, indipendentemente da quanti soldi la Bce potrà pompare nel sistema". Sforzi vani - Una frase, quest'ultima, che è la summa di tutto l'articolo, una frase che dà la cifra della - gravissima - situazione: o cambia qualcosa, e s'intende riforme (riforme vere) o ogni sforzo, compresi quelli di Mario Draghi, sarà vano. Dunque, niente credito, niente soldi, niente ripresa fino a un sostanziale collasso del sistema bancario e, a cascata, del Paese. Il Wsj propone poi alcune ricette che si concentrano sulla raccolta di liquidità da parte delle banche: bene aver goduto dei soldi della Bce, ma ora basta. Nessun istituto, si spiega, "vuole dipendere da Francoforte per finanziare le sue attività principali". Per liberare il sistema bancario, italiano ed europeo, dalle sofferenze serve dunque un "efficiente regime di insolvenza che permetta alle aziende sane di ristrutturare velocemente il loro debito". Rivoluzione culturale - Il secondo requisito è la capacità di attrarre capitale di rischio: soldi freschi, asset nuovi. Ed è ancora sul capitale di rischio (equity finance) che cadono le banche italiane: il private equity, nel Belpaese, equivale allo 0,2% del Pil. Percentuali ridotte rispetto a quelle di Francia e Gran Bretagna. Ed è questo, insieme a tutti gli altri, l'altro, enorme, problema delle banche tricolore. Un dato che si deve leggere in controluce e che dimostra come la nostra economia sia dominata da piccole aziende famigliari con alta leva finanziaria, la maggior parte delle quali troppo indebitata per chiedere altre prestiti. Oltre al capitale bancario, dunque, manca quello societario. Un circolo vizioso che rischia di portarci al collasso: le imprese, come le banche e come il Paese. Il Wsj conclude caustico: all'Italia serve "una rivoluzione culturale".

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