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Decreto lavoro, sì alla fiducia: ecco cosa prevede e su cosa litiga la maggioranza

Andrea Tempestini
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Nella maggioranza è parzialmente rientrato scontro sul decreto legge lavoro, la prima parte del jobs act di Matteo Renzi (che prevede anche un decreto legislativo e la seguente legge delega). Ncd ha alzato la voce e così il premier è stato costretto a chiedere la fiducia, poi incassata al Senato con 344 sì e 184 no. Ma cosa prevede il testo su cui si è votato a Palazzo Madama e attorno a che cosa si è sviluppato lo scontro in maggioranza? Si parte dai contratti a tempo determinato senza causale, ossia quelli per cui non è obbligatori indicare il motivo dell'assunzione. Nel decreto si stabilisce che la forza lavoro assunta con tali contratti non potrà essere più del 20% del totale degli assunti (nel testo originale si stabiliva al 20% sull'organico complessivo). Lo scontro è sulle sanzioni: il decreto prevedeva l'automatica assunzione a tempo indeterminato di chi superava le quote stabilite, invece Ncd vuole solo la sanzione pecuniaria. Il tetto - Sempre sui contratti a tempo determinato, il decreto stabilisce fino a un massimo di cinque rinnovi in tre anni (in origine erano previsti otto rinnovi), sempre che ci siano ragioni oggettive e si faccia riferimento alla stessa attività lavorativa. Parti del Pd, spalleggiate dalla Cgil, insistono per abbassare i rinnovi ulteriormente: da cinque a tre. Tra i contratti, stabilisce il decreto, salta l'obbligo di pausa. Apprendistato - Altro tema caldo è quello dei contratti di apprendistato: avranno meno vincoli ma viene reintrodotto l'obbligo per i datori di lavoro di assumere a tempo indeterminato alcuni apprendisti per assumerne di nuovi. L'obbligo di stabilizzazione riguarda solo le aziende con almeno 30 dipendenti, mentre la quota minima di apprendisti da stabilizzare è il 20 per cento (la busta paga dell'apprendista deve essere pari al 35% della retribuzione del livello contrattuale di inquadramento). Le tensioni nella maggioranza sono legate al fatto che il decreto prevedeva che la formazione fosse in carico alle Regioni, quindi pubblica. Ncd chiede che possa anche essere privata, a scelta del datore di lavoro. Formazione - Il decreto prevede che la formazione pubblica per l'apprendistato sarà di nuovo obbligatoria, con una condizione: la Regione deve provvedere a comunicare al datore di lavoro come sfruttare l'offerta formativa entro 45 giorni dalla firma del contratto. Il datore dovrà dunque integrare la formazione aziendale con la formazione pubblica. Maternità - Un'altra novità riguarda le donne che restano incinte durante il contratto a tempo determinato: potranno conteggiare anche la maternità come durata del contratto, superando la soglia dei sei mesi (la durata minima che la legge richiede per il riconoscimento del diritto di precedenza). Inoltre, se un'azienda assume nei dodici mesi successivi, le donne in congedo maternità hanno la precedenza. Durc - Il decreto stabilisce infine l'abolizione del Documento unico di regolarità contributiva, il Durc, ovvero il documento sugli obblighi legislativi e contrattuali delle aziende nei confronti di Inps, Inaul e Cassa edile. Il Durc verrà sostituito con un modulo compilabile su Internet. Contratto unico - Altre tensioni in maggioranza, infine, riguardano il contratto unico a tutele crescenti, di cui si parlava nelle prime bozze del jobs act. Ora, invece, il governo punta a una semplificazione, ma non al contratto unico. Andrea Romano di Scelta Civica, però, ha chiesto che sia introdotto il contratto unico.

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