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Facci, sapete cosa sono i magistrati in politica? Ingroia, Di Pietro, Emiliano: brutalizzati

Giovanni Ruggiero
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Un altro magistrato in politica, anzi, un magistrato che diventa direttamente leader politico per acclamazione: anche se questo qui, Pietro Grasso, è un po' diverso. In ogni caso è già il leader della "Cosa Rossa" che ieri è stata consacrata all' Atlantico Live di Roma, e che sarà una fusione tra Mdp (Movimento democratico progressista) e SI (Sinistra italiana) e Possibile (il partitello di Giuseppe Civati). Il censimento di quanto accade a sinistra, a rischio labirintite, potrebbe proseguire inseguendo i destini di Giuliano Pisapia, Laura Boldrini, Pier Ferdinando Casini ed Emma Bonino: ma per oggi fermiamoci a Grasso, uno che finisce per legittimare questa "Cosa Rossa" anche perché è uno che raramente fa passi a vuoto. È vero, l' ambasciatore degli Usa a Roma, John Phillips, un annetto fa liquidava Grasso come leader sbiadito, privo di esperienza politica, inadatto a fare le riforme. Ma gli statunitensi non sanno che nella politica europea, soprattutto italiana, l' apparente assenza di qualità è una squisita qualità. Nel caso di Grasso, è più che altro una postura. È un po' come il sindaco di Milano Giuseppe Sala: avrebbe poturo candidarsi o farsi leader di tutt' altri schieramenti, non importa. E pazienza se nell' insieme, anche se Grasso è in pensione, ne esce una sciagura per l' immagine della magistratura, sempre più ricondotta ad anticamera della politica. Si è sempre amministrato divinamente, Grasso, e non sempre era facile: 43 anni di carriera, già magistrato a 24 anni (i famosi giudici ragazzini) e presto ritrovatosi a rischiare la pelle nel giudicare il maxiprocesso a Cosa Nostra: quattrocento boss in un dibattimento istruito dal pool di Falcone e Borsellino. Fu consulente della commissione Antimafia del comunista Gerardo Chiaromonte (quando la commissione serviva a qualcosa) e fu vicecapo di gabinetto agli Affari penali ancora con Falcone. Poi andò a sostituire Gian Carlo Caselli a Palermo - per la gioia del centrodestra - e rappresentò un segno di netta discontinuità. In sostanza era il numero uno dell' Antimafia, e, come tale, si candidò col Pd dopo aver recitato per anni il rosario del magistrato che non entra in politica: una sconfitta per tutti gli altri, considerando che per l' elezione a sindaco di Palermo era stato corteggiato da tutti i partiti (non dal Pdl) e che lo stesso è poi accaduto per le elezioni regionali siciliane. Fu corteggiato persino dall' Udc di Casini e dall' Italia dei Valori siciliana di Leoluca Orlando: questo per dimostrare che qualche qualità doveva averla. Non sembra, ma si muove sempre. Fece fuori i pm caselliani uno alla volta, non firmò il ricorso d' Appello contro Andreotti, diede pubblicamente del "disinformatore" a Marco Travaglio. È un "democristiano" che non si è mai tirato indietro, Grasso, ma che non si è mai mosso in un' unica direzione. Comunque vada, è un' altra toga che scende in politica (o ci sale, o ci rimane) e che può solo accreditare l' immagine di una magistratura comunque contigua, sempre più lontana dall' immagine distaccata e indipendente che ormai sembra appartenere soltanto alle rivendicazioni corporative. In Parlamento erano già una quindicina: e quasi tutti non sarebbero mai scesi in politica - avevano solennemente dichiarato - prima di scenderci. ANTONIO INGROIA Antonio Ingroia è stato sempre e per sempre "allievo di Paolo Borsellino", sentendosi obbligato a nominarlo anche se un passante gli chiedeva l' ora. Tirocinante con Giovanni Falcone, per molto tempo si è occupato di mafia con risultati buoni e meno buoni, comunque sempre ben pubblicizzati. Tra i risultati ritenuti buoni (non da tutti) la condanna di Bruno Contrada e di Marcello Dell' Utri, andando poi a impantanarsi nell' inchiesta più sconclusionata e velleitaria del Dopoguerra: quella sulla trattativa Stato-Mafia. È poi divenuto neo-eroe dell' antimafia-piagnens (quella dietrologica, emergenziale, fatta di fiaccolate, cortei luttuosi, parenti imbarazzanti, e appelli, video, urla, pianti, pugni battuti sul petto) e ha cominciato a frequentare più dibattiti e talk show che aule di tribunale: poi a congressi di partiti comunisti, in dibattiti grillini, in vacanza con Travaglio e naturalmente in tv. Da allora è cominciato il più lungo preannuncio di attività politica che si ricordi (dopo quello di Di Pietro, naturalmente) con Ingroia che criticava il Csm, non rispettava le sentenze che lo riguardavano né i giudici che le pronunciavano, faceva sparate personalizzate con ricadute politiche, attribuiva connivenze mafiose a forze votate da mezzo Paese, e implicitamente si proponeva come epigono di Falcone e Borsellino, chiaro. Nel luglio 2012 è stato nominato dall' Onu a capo di un dipartimento di investigazione contro la criminalità organizzata in Guatemala: ma è durata poco. Poi si è candidato premier a capo della sua lista "Rivoluzione Civile", ma andò malissimo. Allora si lasciò decadere dalla magistratura e accettò un incarico dalla Regione Sicilia. In pratica è scomparso. LUIGI DE MAGISTRIS La progressione economica dei magistrati non è un automatismo, ma è vincolata a periodiche valutazioni di professionalità: esami un po' fasulli con una percentuale di promossi del 99,6%. Tra i pochissimi bocciati, nel giugno 2008, ci fu Luigi De Magistris. Era già cominciata la carriera di un magistrato di inchieste fallimentari - carte alla mano - che ha distrutto vite, famiglie, imprese, posti di lavoro e reputazioni. Anche tutte le sue inchieste "politiche" hanno prodotto solo sconquassi, ma lo resero popolare nonostante i procedimenti finissero in niente o più spesso si arenassero prima ancora di giungere in dibattimento: cancellati, polverizzati, distrutti da gip, organi del riesame, Corti d' Appello e di Cassazione, chiunque abbia avuto modo di verificarne l' incredibile imperizia. Nacque persino una nutrita "Associazione vittime di De Magistris". Quando il bluff si fece troppo scoperto, lui si candidò europarlamentare per l' Italia dei Valori - che poi salutò - e, se prima faceva il magistrato e parlava da politico, poi fece il politico ma parlando da magistrato: se con la toga evocava la "nuova P2", la "strategia della tensione" e "settori deviati di apparati dello Stato", da politico e da sindaco di Napoli cominciò a denunciare "fatti inquietanti che hanno impedito la raccolta dei rifiuti", "sabotaggi di ambienti refrattari alla svolta politica che stiamo attuando", eccetera. Da primo cittadino precipitò all' ultimo posto per gradimento, ma in campagna elettorale seppe risollevarsi - con grandissime sparate - e soprattutto dovette affrontare avversari ridicoli contrapposti da Pd e 5Stelle. È ancora sindaco di Napoli, benché il modello non sia sicuramente esportabile. GIANRICO CAROFIGLIO Gianrico Carofiglio ha sempre l' aria da quello a cui non frega niente di niente. Si laureò in giurisprudenza, entrò nello studio di un avvocato, poi s' iscrisse al concorso per magistrato perché glielo propose un amico (a lui non fregava niente) e si presentò con una preparazione "lacunosa", termine suo. Ma ovviamente ce la fece. E fece anche una breve carriera sino a passare dalla Direzione antimafia di Bari, anche se intanto aveva incominciato a scrivere (è figlio di scrittori) e il discreto successo dei suoi romanzi non gli faceva capire se gliene fregava di fare il magistrato o di fare lo scrittore o di fare il senatore, visto che il Pd, intanto, nel 2008 gli aveva offerto una candidatura. Scelse la scrittura e, come dopolavoro, il Senato: ma ebbe perlomeno la coerenza di dimettersi da magistrato alla fine del mandato parlamentare. Da allora è rimasto in disparte come se l' esposizione politica potesse compromettere il suo status di letterato, e raramente ha rilasciato interviste o fatto parlare di sè. La politica, per lui, ha tutta l' aria di un secondo lavoro, e non vuole seccature. Dapprima definito renziano, di recente ha detto che "non sono mai stato un sostenitore di Renzi, ma nemmeno un suo avversario". Di Pietro Grasso, altro ex magistrato, ora dice: "Non mi sembra l' uomo adatto per riportare la sinistra fuori da queste secche... la politica dovrebbe essere un processo di selezione dei più adatti, una procedura basata sul metodo democratico, non una sequenza di investiture ispirate dagli umori del momento". Carofiglio, forse, pensa di essere diventato senatore per selezione naturale. ANTONIO DI PIETRO Se è difficile sintetizzare la carriera di Antonio Di Pietro, è facile dire che cosa ne è rimasto: zero, anche se ufficialmente risulta "politico, avvocato ed ex magistrato". Dopo la rivoluzione di Mani Pulite - forte del consenso più alto mai avuto nel Dopoguerra da un singolo uomo - rimase col cerino in mano per un paio d' anni, sino a candidarsi coll' allora Pds quando a Brescia cominciarono a indagare su di lui. Divenne ministro dei lavori pubblici nel governo Prodi I ma dovette dimettersi quando fu inquisito. Fondò e rifondò il partito Italia dei Valori che proseguì tra alti e bassi con una gestione familistico-personalistica mai vista prima. Fu movimentista e di governo, nel suo classico stile: il nuovo Ulivo, l' Europarlamento, l' Unione, le primarie, i girotondi, l' intruppamento in tutti gli antiberlusconismi possibili, Ministro delle infrastrutture nel Governo Prodi II (ma protestando il piazza contro il suo stesso governo per via dell' indulto) e infine i primi ammiccamenti con Beppe Grillo, che però gli stava sfilando lo scettro dell' antipolitica. È il declino. Nelle elezioni del 2013 decide di rinunciare a presentarsi col suo partito per appoggiare la lista Rivoluzione Civile di Ingroia, che però non passa la soglia di sbarramento né alla Camera né al Senato. Si dimette da presidente dell' Italia dei Valori, che mediaticamente si dissolve. Parlicchia di candidarsi alle Europee e a sindaco di Milano, ma non se ne sa più niente. Ogni tanto riappare in tv nel ruolo di reperto archeologico, e s' infuria per qualcosa.

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