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Rula Jebreal, nessuno fiatò quando insultò il "maschio bianco". Eppure con Attilio Fontana...

Andrea Tempestini
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Guardateli, fissateli bene in foto, perché un'analisi comparata dei loro profili e fin dei loro volti ci può dire molto del dibattito psicotico sul razzismo che sta andando in scena in questi giorni. Lui è Attilio Fontana, tosto avvocato di provincia, leghista della prima ora, già sindaco varesino, amministratore lumbard sgobbone, giacche spesso retrò e barba ispida tagliata di fresco solo su imbeccata di Berlusconi, o della figlia (le versioni si moltiplicano), candidato del centrodestra alla guida della Lombardia. Leggi anche: Feltri, la parole fine: "Ma se non esistono le razze..." Lei è Rula Jebreal, giornalista e scrittrice di origine palestinese naturalizzata italiana, prezzemolina del jet set da Manhattan a Roma, docente all'Università di Miami, «author» e «foreign policy analyst», come chiarisce sommessamente sulla sua pagina Twitter, testimonial di Carpisa (produttrice di borse e accessori femminili) nonché opinionista nei talk show nostrani sull'universo mondo, specialità della casa l'affermazione secondo cui chi mozza teste in giro per il globo in nome di Allah sarà tutto, ma non certo islamico. Bene, lui è da due giorni l'appestato del dibattito perché, con scelta semantica infelice, ma con parecchie ragioni contenutistiche, ha paventato il rischio che «la nostra razza bianca» possa «essere cancellata» dall'immigrazione di massa non solo incontrollata, ma incentivata. Paginate di Repubblica contro la calata dei barbari da Varese, richieste reiterate di ritiro della candidatura, la gara tra i peones della sinistra e pure tra quelli amici a rilasciare dichiarazioni contro il reprobo. Lei, una manciata di settimane fa, era il settembre 2017, ospite di Piazzapulita condotto da Corrado Formigli su La7, utilizzò l'espressione «uomo bianco» con palese connotazione negativa e spregiativa, durante una discussione con Nicola Porro. «Vedo un uomo bianco che urla addosso a una donna come me!», sbraitava Rula in studio, solo perché Porro provava a sostenere tesi opposte alle sue su ius soli e conseguenze della Brexit. Di fronte all'invito di un conduttore non certo politicamente scorretto, né tantomeno «sessista», come Corrado Formigli, a non fare la vittima, ribadì ormai totalmente fuori controllo: "Sono in minoranza! Ci sono tre o quattro uomini bianchi!». Dal che si deduce che Rula Jebreal divide il mondo in base all'etnia e alla pigmentazione, che è il criterio primo di ogni razzismo. Non solo: a suo parere, appartenere a una certa etnia è una colpa di per sé, è squalificante moralmente e umanamente, tant'è che non sentì il bisogno di aggiungere nessuna specificazione all'impropero «uomo bianco!». Eppure, non si ricordano editoriali pensosi sul rischio del razzismo in prima serata, inviti indignati a Rula a rivedere il suo atteggiamento etnicista, colleghi che prendono le distanze dall'«analista» secondo cui essere bianchi è disdicevole. Lei, e quelli come lei, possono. Tra un tweet contro Trump e un seminario a Miami, chiaramente con borsetta griffata d'ordinanza, possono tranquillamente urlare tutta la propria repulsione contro l'uomo bianco. Ma un varesino abituato ad ascoltare le pulsioni del suo territorio e magari a dar loro rappresentanza, perfino facendo il sindaco di un borgo come Induno Olona, insomma uno come Attilio Fontana, lui no, non si azzardi a dare priorità alla sua gente. di Giovanni Sallusti

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