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Pd, le odalische di Renzi: dalla Boschi alla Bonafè, giovani carine e sfaticate

Tra gaffe e improduttività in aula, Maria Elena e Simona, la Morani, la Madia e la Serracchiani stanno brillando solo per la loro impreparazione

Giulio Bucchi
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Già il passaggio su Google è indicativo. Tra le prime parole che compaiono sul motore di ricerca accanto ai loro nomi ci sono «hot», «fidanzato» e perfino «piedi». Poiché, apprendiamo con un pizzico di sgomento, esistono in rete agguerriti feticisti delle scarpe décolleté leopardate - tacco smisurato - di Maria Elena Boschi, che non per nulla si è guadagnata il soprannome di «giaguara». E, non bastasse, ci sono pure i fan delle estremità di Alessia Morani, la quale esibisce unghie rosso-smaltate e soprattutto un ampio tatuaggio floreale che scende dalla caviglia verso le dita. Con malizia da consumato pedicure, il comico di tendenza Pd Diego Bianchi (in arte Zoro) le ha dedicato un bello spazio su RaiTre, indicandola  tra le più fotografate del partito (anche se  dal ginocchio in giù). In effetti ce n'è abbastanza per turbare i sogni degli smanettoni internettiani: la bionda eterea; la mora olivastra dal piglio deciso; la castana che scoppia di salute e sensualità;  la secchiona acqua e sapone. Sono le Renzine,   le ragazze immagine del segretario del Pd. A completare il novero delle Matteodalische, oltre alle già citate Boschi e  Morani, ecco Marianna Madia, Simona Bonafé e Debora Serracchiani. Carine, (relativamente) giovani, molto visibili in tv e citate sui giornali. Peccato che, al momento della verità,  si rivelino - come dire -  al di sotto delle aspettative. La più ferrigna è la Serracchiani, da poco governatrice del Friulia Venezia-Giulia. Di certo la più preparata e la meno aderente allo stereotipo della velina. Però le cadute di stile non le mancano. Per esempio il vezzo di farsi accompagnare da Enrico Letta su un volo di Stato. Direzione? Lo studio romano di Ballarò, con apposita poltroncina per  i democratici glutei. Le carte in regola per diventare la nuova Rosy Bindi ci sono tutte.  Sempre a Ballarò - oltre che ai feticisti del piede -  dobbiamo i quindici minuti di celebrità di Alessia Morani. Entrata in Parlamento nel 2013, si è guadagnata a buon diritto il titolo di «Miss Supercazzola», come già ricordato da Mattias Mainiero su queste pagine. Ospite da Floris, si è lanciata in mirabolanti gorgheggi il cui senso era chiaro come il linguaggio dei mostruosi Klingon di Star Trek. Citiamo una frase a caso, sul Jobs Act di Renzi: «Noi abbiamo assolutamente la consapevolezza di questa necessità e perché dico che questa scheda è riduttiva rispetto all'idea di Jobs Act che abbiamo perché quella roba lì c'è ma è l'ultima cosa che faremo». Quando si dice che una parla con i piedi. Fortuna che, almeno, ci sono le fantasie degli internettari. A stimolarle, non bastassero i tatuaggi, ci si è messa anche la notizia che la Morani condivideva l'abitazione con una coinquilina di eccezione. Trattasi di Alessandra Moretti, già devota di Bersani (finché era in auge). Avrebbe potuto diventare anche lei una Renzina, ma l'hanno scartata alle selezioni finali. Forse perché, prima di dichiarare ai quattro venti il suo amore per Matteo e abbandonare Pier al suo destino, parlava del sindaco di Firenze peggio che del diavolo. E così l'hanno eliminata.   Va detto, però, che la Moretti è stata la musa ispiratrice di altre due vallette di Matteino. La prima è Simona Bonafé, bellezza scura venata da qualche tratto sbarazzino in  stile Mafalda. Varesina, ha risciacquato i panni in Arno, anzi a  Scandicci, dove è stata  assessore. Anche a lei non difetta la coscia lunga,  spesso inguinata nei jeans e valorizzata dal tacco a elevata altitudine (su Google il suo nome è sovente seguito dalla parola «gambe»). Si dice che sia stata scelta, all'epoca delle primarie che incoronarono Bersani, come risposta renziana alla Moretti. A quanto pare, è riuscita persino a batterla. Come notava ieri l'Huffington Post, la fanciulla è tra i 39 parlamentari  che non hanno presentato nemmeno una proposta di legge. Beh,  l'importante è andare in tv, la produttività arriverà poi.  Va detto che la nostra è in ottima compagnia. A quota zero per proposte di legge c'è anche Maria Elena Boschi, la stella più brillante tra le ragazze cin cin renziane. Classe 1981, robusta bellezza di Montevarchi, già Miss Parlamento,  sarebbe anche una brava avvocatessa (l'adorato Matteo l'ha infatti piazzata  in alcuni cda, tipo Publiacqua). Però finora è passata alla storia e alla cronaca per altri meriti. Anzitutto estetici. Intanto la scarpa aggressiva. Poi l'agio con cui svetta sul tacco dodici, a bordo del quale l'hanno vista compiere ampie falcate per le piazze romane. Infine un discusso pellicciotto con cui si è presentata alla segreteria del Pd. Immediato il dibattito: era un girocollo  ricavato da qualche dolce cucciolo? Era un orpello sintetico? Era la barba di Civati? Di sicuro, finora, c'è solo la sua sobria stima per il Divo Matteo: «È genio e sregolatezza. Ha grande entusiasmo e potere decisionale. Promette e fa. Ha coraggio e rende possibile l'impossibile», ha detto di lui in un'intervista da vera showgirl (in cui confessava anche di sentirsi troppo cicciottella e di tenere sempre in borsa le ballerine). Da qualche mese è single, la immaginiamo votata come una clarissa alla contemplazione del Santino di Firenze. Infine, la nostra preferita: Marianna Madia. Renzina dell'ultimo minuto, ha fatto appena in tempo a saltare sul carretto giusto, dopo aver bazzicato tutte le correnti del Pd, anche quelle che non esistevano. Poiché non ha mai lavorato in vita sua, nella segreteria ha la delega al Lavoro. La sua più grande impresa, quasi  impossibile da eguagliare, consiste nell'essersi presentata al cospetto di Flavio Zanonato e averlo intrattenuto a lungo sui temi dell'occupazione. Fino a che Zanonato  non le ha fatto notare che aveva sbagliato ministro. Giovannini, quello giusto, stava nel palazzo di fronte. Si sa: con Renzi l'Italia cambia verso. E talvolta sbaglia strada. Ma come si fa a non amare le Renzine? Sono tanto belline e televisive. Avessero pure la parola, sarebbero perfette.  di Francesco Borgonovo

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