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Berlusconi: "Se il Colle non mi aiuta faccio saltare tutto"

Silvio Berlusconi

Andrea Tempestini
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Il bunker ad Arcore, il cuore appeso al Palazzaccio, ma l'occhio è sempre rivolto al Colle. «Napolitano deve assolutamente indicarmi una via d'uscita dalla condanna. Anche un viottolo. Altrimenti, muoia Sansone e tutti i filistei». È il mantra che Silvio Berlusconi va ripetendo in questi giorni di passione che seguono la condanna definitiva. Ossessionato dal countdown innescato dalla Giunta per le immunità di Palazzo Madama, ieri, quando gli ha notificato l'arrivo della sentenza di condanna a suo carico trasmessa dalla Procura di Milano. Da quel momento devono trascorrere venti giorni. Entro il 9 settembre il Cavaliere si aspetta un segnale dal Colle. Anzi, Berlusconi pretende che Napolitano batta un colpo molto prima, per disinnescare la bomba a orologeria piazzata in Senato per far scattare la sua decadenza. Il salvavita alternativo suggerito all'ex premier dalle colombe, invece, è che si dimetta prima del verdetto della giunta, venendo così incontro ai desiderata di Napolitano per concedergli ciò che Berlusconi anela al di sopra di ogni cosa.  È la grazia il chiodo fisso del Cavaliere, blindato da martedì sera a Villa San Martino con la fidanzata Francesca Pascale, i fedelissimi e la figlia Marina, che scalda i muscoli per la discesa in campo, che potrebbe compiere già a settembre. Lei, che fino a qualche tempo fa non scalpitava all'idea di ereditare la leadership del centrodestra, ora è pronta. A spronarla è il desiderio di riscattare il padre, che invece non vorrebbe nemmeno sentirne parlare. Anzi, inorridisce all'idea che la figlia possa percorrere lo stesso calvario giudiziario: «Marina ha due figli piccoli, non può subire quello che ho subito io», risponde il Cav a chi gli caldeggia la primogenita per la sua successione. Ma il passaggio dinastico delle consegne, cioè il fatto che sia un Berlusconi a succedere a Berlusconi, sarà una scelta obbligata per Marina, nel caso l'uomo del Colle dirà no alla grazia. La Cavaliera, a quel punto, dovrà per forza prendere il timone di Forza Italia, per salvare dalla damnatio memoriae la storia politica del padre e le sue aziende dalla débacle. C'è, infatti, la fondata paura a casa Berlusconi che, non appena lui decadrà da senatore, venga subito spiccato un mandato di cattura da Napoli nei suoi confronti e che le procure siano pronte a infierire sulle aziende. Di qui, la necessità che Marina si arruoli in politica, per difendere il patrimonio imprenditoriale di famiglia. E sembra che lei si stia attrezzando concretamente alla candidatura, tanto da aver già sondato la disponibilità di qualche finanziatore per la campagna elettorale in caso di voto anticipato. Ma Berlusconi spera ancora in Napolitano. E in quel segnale che i suoi emissari presso il Colle gli dicono arriverà entro una settimana, positivo o negativo che sia. Il punto cruciale per il leader del Pdl non è tanto il «viottolo», ma la sua credibilità. Berlusconi si fida relativamente di Napolitano, che davanti ai fedelissimi accusa di essere «il regista» del suo tracollo giudiziario, perché «non ha mosso un dito per evitarmi la condanna». Quindi ora, secondo il Cav, l'inquilino del Quirinale «deve» concedergli «la grazia». Men che meno, Berlusconi si fida del Pd. Soprattutto dopo l'intervista di Guglielmo Epifani al Corriere della Sera. «Mi dite voi chi mi garantisce nel centrosinistra»? Una domanda che, tramite i suoi ambasciatori presso il Colle, Berlusconi ha fatto arrivare fino a Napolitano, il quale entro la prossima settimana riceverà una delegazione del Pd. E i democrats al Capo dello Stato andranno a dire chiaro e tondo quello che il segretario ha lasciato intendere anche ieri in Direzione, nel ribadire: «Le sentenze si rispettano». E che Stefano Fassina ha esplicitato a Sky Tg24: «Il Pdl non può aspettarsi dal Pd un sostegno per interventi ad personam». Berlusconi invece si aspetta che sia Enrico Letta a fargli da garante nel Pd, visto che lui è un azionista di maggioranza del suo governo. Nel caso il premier lo scaricasse, il Cav esige che sia il Capo dello Stato il suo garante di ultima istanza, forzando la mano ai compagni di partito. Sull'orlo di una crisi di nervi, «un uomo devastato», come lo descrive uno dei suoi migliori amici forzista della prima ora, il Cav è pronto a tutto. E scatenerà quella «guerra totale» che minaccia dal giorno della condanna, non appena percepirà che sul colle più alto si è spento anche l'ultimo barlume di speranza.  di Barbara Romano

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