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L'editoriale

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di Maurizio Belpietro

Andrea Tempestini
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Tempo fa osservavo che l'Italia ha il più forte e organizzato sindacato che vi sia in un Paese europeo, ma allo stesso tempo ha gli stipendi più bassi fra quelli percepiti dai lavoratori del Vecchio Continente. C'è una relazione tra i due fatti? Forse, ma nessuno è in grado di dimostrarlo. Ciò che al contrario si può facilmente provare è che la Cgil e in parte le altre confederazioni sono ormai diventate un freno a qualsiasi cambiamento. Si discute spesso della necessità di innovare nel mondo dell'impresa e del disperato bisogno delle aziende di essere dinamiche. Ma le sigle che rappresentano i lavoratori sembrano non essersene accorte. Nonostante il mondo si sia evoluto e i mercati si siano trasformati, le organizzazioni guidate da Camusso e compagni restano aggrappate a un modello di relazioni industriali che risale al secolo scorso. Eppure in questi anni molte proposte sono state formulate per spingere Cgil, Cisl e Uil ad aprirsi, ma invariabilmente sono state tutte respinte. Bocciata la compartecipazione nella gestione dell'impresa, come si usa fare in Germania, per gran parte dei nostri sindacalisti esiste solo la contrapposizione con il padrone e il governo. E dunque l'unico strumento da mettere sul tavolo per piegare gli interlocutori resta lo sciopero. Possibilmente generale. Di fatto oggi la Cgil e in parte minore gli altri sindacati, i quali spesso sono costretti a subire le scelte della confederazione rossa, rappresentano il principale scoglio nel processo di modernizzazione del Paese. L'organizzazione guidata da Susanna Camusso infatti non è solo in grado di influenzare le altre sigle sindacali, ma anche le forze politiche, in particolare quelle dell'opposizione. Pier Luigi Bersani sa perfettamente che è antistorico difendere l'età pensionistica a 59 anni e che la rigidità del mercato del lavoro è di ostacolo allo sviluppo, ma non può dirlo in quanto, se lo facesse, rischierebbe il posto. Il segretario del Pd non riuscirebbe a resistere alla pressione che il sindacato è in grado di esercitare sul suo partito. E se al posto suo ci fosse qualcun altro sarebbe lo stesso. Il problema non è dato da chi guida il principale gruppo d'opposizione, ma sta nel fatto che una volta liquidata la grande struttura organizzativa del Pci, quella della Cgil rimane la sola ad avere una ramificazione capillare. Con il crollo dei partiti della prima Repubblica (e nel caso di Botteghe oscure con la fine dell'Urss) non ci sono più soldi per pagare migliaia di funzionari. Le sole che se lo possono permettere sono le confederazioni. Le quali possono disporre non soltanto di contributi a vita versati da lavoratori e pensionati, ma anche di centinaia di milioni generosamente erogati dallo Stato per tramite dei patronati. Grazie a questa montagna di denaro di cui nessun sindacato rende conto (nonostante la legge lo preveda), Cgil, Cisl e Uil possono mobilitare decine di migliaia di persone, bloccare una città e se del caso l'Italia. È evidente che il condizionamento esercitato da un sindacato reazionario e antimoderno è oggi il nodo principale da sciogliere per poter cambiare il Paese. Fino a che rimarrà il potere interdittivo di Camusso e compagni, poche riforme saranno possibili. Urge dunque intervenire sulla materia. Cominciando proprio con l'interrompere la massa di finanziamenti che affluisce nelle casse sindacali. Un'operazione più facile di quanto si immagini. Basterebbe far applicare i risultati di un referendum voluto dai radicali che abolì la trattenuta automatica confederale in busta paga. Se vuole pagare il sindacato, il lavoratore ne faccia richiesta ogni anno, diversamente il prelievo non ci sarà. Bloccare poi i pagamenti che il ministero delle Finanze e l'Inps erogano ai patronati (nonostante la crisi su quelli lo Stato non risparmia mai) toglierebbe altre risorse. Senza soldi, la ciclopica struttura di Cgil, Cisl e Uil sarebbe costretta alla dieta. Meno funzionari e meno cortei. Soprattutto meno influenza sulla politica. La Cgil, una volta tornata nei ranghi, diventerebbe una confederazione come le altre e non la padrona dell'opposizione.  Le organizzazioni dei lavoratori sarebbero uno degli attori sociali e non l'attore principale. Esattamente come avviene altrove. E, con un sindacato normale, forse anche il nostro diverrebbe un Paese normale.

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