Cerca
Logo
Cerca
+

La Casa di carta 3 il ritorno del thriller perfetto

La nuova serie sui rapinatori spagnoli

Francesco Specchia
Francesco Specchia

Francesco Specchia, fiorentino di nascita, veronese d'adozione, ha una laurea in legge, una specializzazione in comunicazioni di massa e una antropologia criminale (ma non gli sono servite a nulla); a Libero si occupa prevalentemente di politica, tv e mass media. Si vanta di aver lavorato, tra gli altri, per Indro Montanelli alla Voce e per Albino Longhi all'Arena di Verona. Collabora con il TgCom e Radio Monte Carlo, ha scritto e condotto programmi televisivi, tra cui i talk show politici "Iceberg", "Alias" con Franco Debenedetti e "Versus", primo esperimento di talk show interattivo con i social network. Vive una perenne e macerante schizofrenia: ha lavorato per la satira e scritto vari saggi tra cui "Diario inedito del Grande Fratello" (Gremese) e "Gli Inaffondabili" (Marsilio), "Giulio Andreotti-Parola di Giulio" (Aliberti), ed è direttore della collana Mediamursia. Tifa Fiorentina, e non è mai riuscito ad entrare in una lobby, che fosse una...

Vai al blog
La Casa di carta 3 Foto: La Casa di carta 3
  • a
  • a
  • a

 “Benvienidos, otra ves”, benvenuti un'altra volta, scrive il professore alla lavagna dopo aver radunato, di nuovo, la sua banda variopinta in un monastero toscano, per l'ennesimo “colpo del secolo”. Che stavolta non è più la zecca di Stato, ma il caveau della Banca Centrale di Spagna, presidiata dall'esercito e con la tendenza a riempirsi di tonnellate d'acqua ad ogni tentativo di furto. Quando vedo La casa di carta, serie-cult spagnola di Netflix oggi alla terza edizione, l'animo mio è scosso da sentimenti contrastanti. Il primo pensiero che mi ha attraversato mentre osservavo un dirigibile con stampigliata la maschera di Dalì solcare i cieli di Madrid per annaffiare la città con 140 milioni di euro in banconote (parte del piano di distrazione di massa, per accaparrarsi il plauso delle masse stesse) è stato il grande spettacolo della cupidigia dell'uomo. Il secondo pensiero, osservando la cattura -e la tortura- di Rio, il più fesso di tutti, nei Caraibi a causa di una telefonata intercettata, è la fragile violabilità dei diritti dell'uomo da parte delle istituzioni; assieme alla straordinaria vacuità dell'uomo nell'uso dello smartphone. Il terzo pensiero è la difesa sacra dell'amicizia per mezzo di pensieri, opere e omissioni di Denver, Tokyo, Nairobi, Lisbona (l'ex “ispettora” della prima serie convertita alla rapina) e del nuovo entrato Palermo, un hombre che progetta la rapina in omaggio al defunto Berlino, fratello del Professore. Amore, denaro, passione, sogni, incastro d'intelligenze, senso dell'onore, morte (morte appena appena): ogni fotogramma della Casa di carta è una zaffata emotiva. E vale quanto scritto per la prima serie, solo che qui, nelle scene tropicali, hanno speso molto di più. Qui continuano a luccicare le citazioni al grande cinema d'azione. Ci sono i 7 uomini d'oro, film italianissimo, leggendario e stroboscopico del'65 di Marco Vicario; e Inside man il capolavoro di Spike Lee dove viene per la prima volta introdotto l'espediente dei rapinatori che fanno vestire gli ostaggi della banca come loro -in tuta arancione e maschera- giusto per cautelarsi dai cecchini della polizia. La Casa di carta rimane un thriller psicologico percorso da raffinatissimi meccanismi ad orologeria. Rimane perfino “Bella ciao” inno alla libertà in sottofondo, da noi sopravvissuto a malapena nelle Feste dell'Unità…          

Dai blog