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Testamento biologico, legge alla Camera: la vergogna, Montecitorio è vuota

Giulio Bucchi
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Quanto interessa la legge sul testamento biologico? Agli italiani parecchio, a giudicare anche dalle reazioni dopo la morte di Dj Fabo e le polemiche relative a tutta la questione fine-vita. Ai politici italiani poco o nulla: la proposta di legge ieri è finalmente approdata alla Camera in un panorama desolante: pochissimi i presenti alla seduta (una ventina, foto di Elisa Calessi). E dire che si è trattato di una giornata storica: la legge è di fatto bloccata da 8 anni, quando morì Eluana Englaro. Quella da oggi in discussione vede come prima firmataria la deputata Pd Donata Lenzi, e si propone di regolamentare la questione del fine vita, in applicazione dell'articolo 32 della Costituzione che dispone, al secondo comma, che "nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana".  Questo è il tema cruciale: un cittadino ha diritto di rifiutare le cure, in qualsiasi momento e qualsiasi siano le conseguenze, anche letali. Ma cosa succede se quel cittadino non è in grado di esprimere esplicitamente questa volontà perché in stato di incoscienza o perché totalmente paralizzato? Su questo dilemma si incentrò il caso Englaro, risolto alla fine dall'intervento dei giudici che riconobbero, dopo anni di audizioni e di testimonianze, che Eluana inequivocabilmente quando era cosciente si era detta contraria a un trattamento sanitario che obbliga un paziente in un limbo senza fine, lo stesso in cui precipitò lei stessa dopo l'incidente stradale che la ridusse in stato vegetativo. Se avesse potuto parlare, ha sempre sostenuto papà Beppino Englaro, Eluana avrebbe chiesto di essere lasciata andare. Da qui la necessità di una legge che consenta a chiunque di lasciare scritto cosa vuole che sia fatto del suo corpo in caso di impossibilità a comunicare. Sulla scorta anche di una sentenza del 2016 della Consulta, che ha sancito una volta per tutte che "una normativa in tema di disposizioni di volontà relative ai trattamenti sanitari [...] - al pari di quella che regola la donazione di organi e tessuti - necessita di uniformità di trattamento sul territorio nazionale, per ragioni imperative di eguaglianza". Non bastano le sentenze, insomma, né le leggi regionali o comunali. La palla passa al Parlamento, ma la partita non è iniziata nel migliore dei modi e potrebbe durare molto più del previsto.

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