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Silvio Berlusconi, Pietro Senaldi: così il tribunale di Milano ha assolto il Cavaliere

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Il vero colpo di scena sul caso Mediaset, definito da Forza Italia il «golpe anti-Berlusconi», è un verdetto pronunciato lo scorso 31 gennaio dal Tribunale civile di Milano. La sentenza numero 868 firmata dal giudice Damiano Spera, che di fatto prova come Silvio Berlusconi sia innocente. Libero è in grado di fornire le motivazioni della decisione che smonta anni di accuse al Cavaliere e dimostra che la storia della Repubblica negli ultimi dieci anni è stata determinata da azioni della magistratura senza adeguato fondamento giuridico. 

Il Tribunale di Milano infatti stabilisce che non sta in piedi e descrive una realtà che non esiste la decisione della Cassazione con cui nell'agosto 2013 l'ex presidente del Consiglio venne condannato per evasione fiscale a quattro anni di reclusione. E neppure sta in piedi la condanna per appropriazione indebita del produttore cinematografico americano Frank Agrama, considerato dagli ermellini suo «socio occulto», per essersi prestato dietro compenso a una frode. La storia è complessa ma ha una logica ferrea. Berlusconi fu condannato in sede penale perché accusato di aver gonfiato le parcelle di Agrama, che vendeva i film a Mediaset. I magistrati della Cassazione sostennero che l'americano avrebbe fatturato alla società del Cavaliere 110 milioni di euro, consentendo al leader azzurro di truffare il fisco e traendone vantaggio a sua volta. Il produttore americano venne giudicato dagli ermellini «socio occulto e intermediario fittizio» nella compravendita dei diritti tv. 

 

110 MILIONI
A questo punto, incassata la condanna del Cavaliere, gli avvocati di Mediaset hanno pensato di rifarsi in sede civile, chiedendo ad Agrama la restituzione dei 110 milioni, nel frattempo diventati 140 per gli interessi, ed accusando l'americano di appropriazione indebita. Ma i magistrati milanesi hanno respinto integralmente la richiesta dei legali di Silvio, sostenendo che la vendita dei diritti tv a Mediaset non era fittizia ma reale, e quindi di fatto discolpando Berlusconi dalle accuse penali. Nel dispositivo della sentenza si legge che «Agrama era non solo un effettivo intermediario dotato di una regolare struttura organizzativa, ma che egli ha anche agito legittimamente nella compravendita dei diritti». 

Cosa scrive dunque il giudice Spera nel motivare la sentenza? Mette nero su bianco che la compravendita dei diritti da parte del gruppo Mediaset (dal 1999 al 2005), a dispetto di quanto sostenuto in tutti i processi dalla Procura di Milano e poi dalla Cassazione, è avvenuta mediante «effettivi e regolari contratti siglati fra Mediaset e Agrama» e che «l'interposizione fittizia contestata nei capi di imputazione non sussiste!». Seguendo questo ragionamento perde dunque ogni fondamento giuridico la condanna definitiva e già ampiamente scontata da Silvio Berlusconi. I giudici milanesi hanno accertato che il produttore cinematografico statunitense era a capo di una «complessa organizzazione aziendale idonea a commercializzare i prodotti tv». E ancora: Agrama aveva «una società idonea a commercializzare i prodotti tv», il cosiddetto «ricarico» del 50 per cento sui prodotti era, almeno in via astratta, ragionevole in rapporto al rischio di invenduto sul mediatore e non era il frutto di una fatturazione gonfiata. Ma i magistrati sono ancora più chiari: «Non solo non è provata una indebita maggiorazione di prezzo, ma dopo l'era di Agrama» recita la sentenza, il gruppo Mediaset ha «dovuto subire condizioni negoziali peggiori delle precedenti». 

Perciò, «dalla maggiorazione dei prezzi» rispetto a quelli praticati da majors come Paramount, «non può inferirsi automaticamente un meccanismo di appropriazione di risorse» di Mediaset, «ma, più semplicemente, un esempio di determinazione del prezzo nel libero mercato dei prodotti tv». Insomma Agrama stando al Tribunale civile, non solo non ha sottratto denaro a Mediaset, ma era un effettivo intermediario che ha agito legittimamente. Vengono così meno anche le dichiarazioni fraudolente sulle quali si è basata la sentenza di condanna del 2013. 

 

ARMA INSPERATA
L'ex premier ora può tornare a bussare alla Corte Europea di Strasburgo per farsi riabilitare e può anche chiedere la revisione del processo che l'ha estromesso ingiustamente dalla politica. Così insieme con l'audio del giudice relatore Amedeo Franco defunto nel 2019 e che poco dopo la sentenza tombale pronunciata il primo agosto 2013 corre a chiedere scusa a Silvio Berlusconi perché tutto «è stato pilotato dall'alto», adesso di fronte ai giudici europei viene depositata (a integrazione) anche la sentenza del Tribunale civile. Nel caos che in questi tempi sta travolgendo la giustizia italiana è spuntato anche questo: i magistrati di Milano, dopo averlo perseguitato per anni, riabilitano il Cavaliere e gli forniscono un'arma fondamentale per rivendicare la sua innocenza davanti alla Corte Europea. 

Certo, politicamente il danno è irreparabile. Silvio quando fu destituito a causa della condanna ingiusta era il leader del centrodestra e aveva tre-quattro volte il consenso di oggi. Un verdetto ingiusto lo ha fatto fuori dal Parlamento, impedendogli di fare politica come avrebbe voluto e fiaccandone l'immagine pubblica e il morale. Non è mai troppo tardi per avere giustizia, ma l'amaro in bocca resta.

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