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Lega, le violenze contro il partito di Matteo Salvini ricordano gli Anni di Piombo

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In un Paese senza memoria storica come l'Italia occorre essere sempre vigili, perché può accadere che si ricada, come in una sorta di coazione a ripetere, nei medesimi errori del passato, senza averne immediata consapevolezza. L'indifferenza con cui sono state accolte le contestazioni di piazza che hanno scandito la campagna elettorale di Matteo Salvini in vista del voto di domenica e lunedì prossimi - impedendo in molte occasioni (l'ultima a Legnano per mano di presunti «partigiani sempre») al leader della Lega di esprimere il proprio pensiero e di dialogare con i suoi elettori - rimanda, fatte le dovute applicazioni, ad un'altra pagina della storia nazionale, quando si sottovalutò la portata distruttrice degli scontri fra studenti e forze di polizia nel marzo 1968 a Valle Giulia a Roma e ci si trovò nel volgere di poco tempo a dovere fare i conti con il terrorismo brigatista.

 

In quei giorni, dai piani alti di Botteghe Oscure (la sede del Pci, ndr) arrivarono per la «meglio gioventù» parole di solidarietà e di grande apprezzamento. È sufficiente sfogliare l'edizione de l'Unità, uscita poche ore dopo, per avere un'idea del clima politico che si respirava. Dalle colonne di quel giornale si potevano leggere resoconti di quella «battaglia» a dir poco imbarazzanti. «Gli studenti hanno resistito - si scriveva - combattuto e contrattaccato gli agenti di polizia per ore il movimento studentesco stupisce per la sua straordinaria vitalità». A partire da quegli episodi, la vita politica italiana divenne un film dell'orrore con la violenza quotidiana nel ruolo di protagonista assoluto. Intanto, i primi nuclei delle Brigate rosse incominciarono ad organizzarsi per «portare l'attacco al cuore dello Stato» attraverso l'uso sistematico dell'omicidio politico. Purtuttavia, si continuò a parlare di «compagni che sbagliano» e non di autentici assassini. «l'album di famiglia»

Occorrerà attendere il sequestro di Aldo Moro e l'uccisione dei membri della sua scorta, affinché la sinistra comunista cambi registro. Il che avviene all'indomani del 28 marzo '78, quando sul quotidiano il manifesto Rossana Rossanda scrive che «in verità chiunque sia stato comunista negli anni cinquanta riconosce di colpo il nuovo linguaggio delle Br. Sembra di sfogliare l'album di famiglia». Parole d'ordine e toni di quell'album divennero patrimonio politico della sinistra estrema, che elevò la violenza di piazza, prima, e l'assassinio dell'avversario poi, a «passaggio strategico obbligato per la realizzazione della rivoluzione proletaria».

Fu solo dopo il sequestro del presidente della Democrazia Cristiana che i dirigenti del Pci capirono di non essere più in grado di contenere quelle forze eversive, che pur appartenevano alla sua storia, e corsero ai ripari «trasformando un partito che si credeva ancora rivoluzionario nel partito della fermezza e della difesa senza indugi delle istituzioni». Purtroppo, si comprese in ritardo che vi era un robusto filo ideologico che legava le azioni di chi impediva all'avversario politico di esprimere liberamente le proprie opinioni e l'affermarsi del terrorismo. Si trattò di un errore fatale, mentre sulla vita della Repubblica calava la notte. Il clima di odio che si respira in queste settimane riporta l'orologio della politica italiana indietro di decenni. Quel filo oggi è assai più sottile rispetto a cinquant' anni fa, ma non è stato spezzato del tutto. Meglio averne piena consapevolezza, per evitare che finisca in cartellone un nuovo film dell'orrore. 

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