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Mario Draghi, il premier incaricato preoccupato per la convivenza dei leader nel suo governo

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Fausto Carioti
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 Mario Draghi non è il nuovo Carlo Azeglio Ciampi. Quello del livornese fu un governo di centrosinistra che relegò il Carroccio (un partitino, in confronto a quello di oggi) a principale forza d'opposizione. Replicare quello schema era il sogno della sinistra. Draghi, invece, la Lega (nazionalista e non più padana, ma sempre ritenuta una minaccia dai progressisti) la vuole in squadra con sé. Ed è a un passo dall'averla. Il Partito democratico, i Cinque Stelle e Giuseppe Conte hanno sperato che il primo confronto ufficiale andasse male. Che Matteo Salvini avanzasse a Draghi proposte oltranziste e irricevibili. È stato un successo, invece. Meglio di quanto sperasse l'ex ministro dell'Interno, il quale, uscito da lì, ha detto subito ai suoi di avere avuto «un'impressione molto positiva» del futuro premier.

 

 

 

Ambedue si sono mostrati pragmatici, evitando di finire nella trappola Europa sì/Europa no, su cui la sinistra aveva puntato le carte. Salvini ha già fatto i conti del peso che avrebbero i suoi eletti, assieme a quelli di Silvio Berlusconi, dentro la coalizione di governo: «A palazzo Madama la Lega ha 63 senatori, Forza Italia 52 e il Pd solo 35...». A questo punto, per Draghi, il problema è rappresentato proprio dall'abbondanza. Ossia dalla coesistenza tra Conte, il Pd e Salvini. Quest' ultimo non ha posto veti sulle altre sigle, raccogliendo l'appello lanciato da Sergio Mattarella affinché il nuovo esecutivo sia aperto «a tutte le forze politiche». I democratici, invece, hanno preso malissimo la disponibilità dell'ex presidente della Bce nei confronti della Lega.

 

 

 

Masticano amaro, in particolare, gli ex Pci-Pds. D'impulso, appena hanno visto che tra Draghi e Salvini si era creata una certa sintonia, hanno valutato l'ipotesi dell'appoggio esterno al governo. Un modo per prendere le distanze dall'intera operazione, che però significherebbe tradire Mattarella e "regalare" Draghi agli avversari. Realizzato che sarebbe un suicidio, ci hanno ripensato, giurando che quella dell'appoggio esterno era «una falsa notizia». Più complicata la situazione rappresentata dall'ex premier. Fallito il tentativo di impedire la nascita del nuovo governo, Conte ora smania per entrarci, in "quota" Cinque Stelle, ma pure come portabandiera (nonché futuro candidato premier) dell'alleanza M5S-Pd-Leu.

Per questo spinge su progressisti e grillini affinché difendano il «perimetro» di quella coalizione e ripetano che il governo Draghi deve essere «politico», che nel loro vocabolario significa «di parte». Un progetto che si scontra con l'ingresso di Salvini, capace di rendere quello di Draghi, davvero, il «governo di tutti». Ossia dell'ex governatore di Bankitalia, il quale avrebbe numeri robusti in parlamento e non potrebbe essere imbrigliato dalle formazioni di sinistra. Eppure, proprio la rivalità tra gli arcinemici offre a Draghi un'opportunità su cui sta riflettendo. Si può riassumere nella formula: o tutti e due o nessuno dei due. Nel primo caso avrebbe Conte e Salvini in squadra, e ciò alzerebbe il profilo dell'esecutivo. I due, però, dovrebbero ricominciare a parlarsi e rimuovere i veti reciproci.

Senza questa improbabile riappacificazione, Draghi imporrebbe il disarmo bilaterale: per non fare torto a nessuno, non metterebbe in squadra né l'uno né l'altro. I Cinque Stelle punterebbero su un altro, probabilmente Luigi Di Maio, che intanto si è convertito a paladino del «debito buono» (lui, quello del reddito di cittadinanza). E la Lega metterebbe al servizio di Draghi uno tra Giancarlo Giorgetti e Giulia Bongiorno, magari stavolta come ministro della Giustizia, che affiancherebbe il forzista Antonio Tajani, candidato naturale per il dicastero dello Sviluppo economico. In ogni caso, Draghi si dedicherà alla definizione della squadra solo da lunedì. Oggi realizzerà una sintesi delle proposte che gli hanno portato i partiti e da domani pomeriggio a martedì sera farà un nuovo giro di consultazioni con i leader, mostrando la traccia del programma ed entrando nei dettagli dei nomi. Se tutto va secondo i programmi, tra mercoledì e giovedì Draghi scioglierà la riserva. Quindi ci sarà il giuramento e subito dopo il voto di fiducia. Il governo sarebbe così in carica, dotato di pieni poteri, già prima di domenica. 

 

 

 

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