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Nicola Zingaretti, la "perversione" del segretario Pd: preferisce Toninelli a Maria Elena Boschi

Antonio Rapisarda
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L'ultimo "pensiero stupendo" partorito in casa Pd - l'intergruppo parlamentare con i 5 Stelle (LeU non rappresenta che l'apostrofo "rosso" fra piddini e grillini) - è l'ennesimo gesto di tafazzismo del partito di Nicola Zingaretti. Di più: se l'opzione è stata giudicata da molti osservatori un gesto ostile nei confronti dell'unità chiesta da Mattarella, non si può definire in altro modo che «perversa» - come ha spiegato ieri Libero Tv - la scelta di preferire l'intesa strutturale con i vari Toninelli, Taverna e Di Maio tenendo fuori dalla porta solo Italia Viva. Insomma, come primo segnale politico della stagione Draghi si poteva scegliere decisamente qualcosa di meglio che manifestare nostalgia per il fallimento dell'esperienza contiana.

 

 

Una decisione, questa dell'ormai "sesta stella" del M5s, che la renziana Maria Elena Boschi ha liquidato non a caso per ciò che è: «Una scelta che rende il Pd subalterno ai grillini. Un autogoal figlio della stessa strategia utilizzata durante la crisi», ha tagliato corto riferendosi all'incomprensibile impuntatura dei dem sull'avvocato di Volturara Appula. Si dice nei corridoi che tutto ciò sia nato per «rassicurare» i Cinquestelle sul fatto la maggioranza sia ancora affare loro e che da qui si procederà per la costruzione di un'alleanza alle Amministrative. Sarà. Ma la cosa invece che allineare la coalizione ha finito per scatenare la solita faida all'interno di un Pd ormai balcanizzato e stroncato dai sondaggi.

 

 

A maggior ragione quando è giunta l'indiscrezione che vede Zingaretti - ancora in stato confusionale dopo la figuraccia di "quota zero" donne dem fra i ministri - all'oscuro della cosa: tutta la faccenda dell'intergruppo sarebbe stata un'iniziativa del capogruppo al Senato Andrea Marcucci, il più renziano fra i piddini rimasti nella Ditta. Una forzatura subita dal segretario, insomma, che ha animato più di un sospetto e costretto il Nazareno a mettere una pezza: un conto, spiegano le fonti, è l'alleanza politica con M5S e Leu, che «va rinforzata attraverso passaggi politici», altra cosa è creare un organo istituzionale «senza nemmeno fare un passaggio con i senatori».

TENSIONI
Le tensioni sono esplose nell'assemblea del gruppo della Camera, per nulla intenzionato a procedere come i colleghi senatori. Per Base Riformista, il Pd non può rinchiudersi nel recinto giallo-fucsia e proprio l'esecutivo Draghi «può essere l'occasione per rilanciare la vocazione maggioritaria anche oltre l'alleanza con i 5 Stelle». Stoccate a tutto spiano alla linea "ufficiale" anche dalla sinistra di Matteo Orfini: «Da Draghi un discorso ottimo che ci fa sentire a nostro agio. Non è il fallimento della politica, semmai di una linea politica che sarebbe assurdo rilanciare». L'invito, è di evitare gli intergruppi: «Per coordinarsi basta il telefono...».

E il telefono servirà spesso con il capogruppo M5S al Senato Licheri se a palazzo Madama i vari Toninelli continueranno a parlare «di fiducia a tempo» a Draghi perché occorre capire «giorno dopo giorno da che parte starà, se con i cittadini o con le banche». Matteo Renzi prova ad approfittarne, vedendo schiudersi uno spazio di manovra al centro: «Mi dispiace per loro - ha attaccato riferendosi agli ex compagni - perché mi sembra una strategia che distrugge tutti i sogni riformisti del Pd, ma sono contento per noi perché si apre una prateria, per costruire una casa del buonsenso». Ulteriore controindicazione dell'intergruppo giallo-fucsia è quella di aver riconnesso il centrodestra in Parlamento dopo la rottura maturata sul sostegno a Draghi.

 

 

A lanciare la proposta, dall'opposizione, è proprio Giorgia Meloni: «Se Pd, M5S e Leu hanno formato un intergruppo per coordinare la loro attività, evidentemente contro gli altri partiti che sostengono il governo, allora penso che anche il centrodestra debba dotarsi di un suo intergruppo per portare avanti il programma elettorale comune». Per la leader di FdI si tratta di un'opzione utile «nonostante il diverso posizionamento dei partiti della coalizione». Non si tira indietro Matteo Salvini: «Fui io a proporre addirittura la federazione del centrodestra. All'epoca ricevetti risposte negative, magari adesso i no si sono trasformati in sì».

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