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Kabul, 15 donne in piazza? Sempre più numerose delle occidentali che si battono per i diritti delle mususulmane

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Andrea Morigi
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Venti donne a Herat giovedì, altre quindici davanti al palazzo presidenziale di Kabul ieri, a manifestare per i diritti delle donne. Ci vuole un coraggio da leonesse, sapendo che i contingenti militari occidentali se ne sono andati e non le proteggeranno più. Solo grazie all'occupazione dell'Afghanistan da parte delle truppe della Nato, hanno ottenuto il diritto all'istruzione, alla libertà d'espressione, la possibilità di lavorare. Sfilano osando perfino invocare la loro inclusione nel prossimo esecutivo e in altri posti di leadership.

 

 

Nei giorni scorsi infatti gli estremisti hanno riservato agli uomini la possibilità di essere nominati ministri, stabilendo che sarà possibile assumere donne solo per impieghi di minor responsabilità nelle istituzioni pubbliche. Ora, con il regime dei talebani in via di formazione, rischiano di perdere tutto quello che hanno conquistato e tornare sepolte vive nelle case, o in alternativa flagellate o lapidate in pubblico. Si illuderebbero, però, se pensassero che in Europa o negli Stati Uniti qualcuno ascolterà il loro appello all'uguaglianza e alla giustizia.

 

 

L'immigrazione islamica ha reso infatti la Pianura Padana o l'Appennino luoghi più a rischio di Kandahar o di Khost. Il caso di Saman, che si presume fatta a pezzi dai parenti per non aver accettato un matrimonio combinato con un cugino pakistano è soltanto la punta dell'iceberg. Nelle periferie delle città tedesche, olandesi, belghe, francesi o britanniche, sono migliaia le donne di origini arabe o asiatiche rinchiuse in casa e private dei diritti più elementari e perfino dei documenti, quindi private della loro identità anche perché obbligate a indossare il velo integrale, niqab o burqa che sia. E non se ne vuole accorgere nessuno, per non creare un conflitto culturale con le comunità e non subire l'accusa di islamofobia. Infatti sono più numerose le donne afghane che manifestano in patria rispetto a quelle occidentali che si battono per i diritti delle mususulmane. 

 

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