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Enrico Letta terrorizzato dal congresso, ecco perché pensa alle elezioni anticipate: il leader Pd alla canna del gas

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Fausto Carioti
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Cos' è che fa più paura a Enrico Letta? Le elezioni anticipate, alle quali il suo partito si presenterebbe impreparato, legato a una coalizione che arranca dietro al centrodestra? Forse. O forse no. Perché c'è un altro pericolo sulla strada del segretario del Pd: il congresso che si dovrà tenere sei mesi prima della scadenza del suo mandato, dunque nell'ottobre del 2022. Una novità introdotta pochi giorni fa dall'assemblea nazionale, riunita per via telematica. In soldoni, significa che se la legislatura andrà a scadenza naturale, ovvero se durerà sino al marzo del 2023, prima del voto si dovrà scegliere il nuovo leader del Pd. Letta dovrà vedersela probabilmente con il governatore emiliano Stefano Bonaccini, caro a Lorenzo Guerini, Andrea Marcucci e agli altri ex renziani di Base riformista, e magari pure col giovane Peppe Provenzano, attuale numero due e alfiere dell'ala sinistra del partito, vicino ad Andrea Orlando.

Bonaccini è molto ben quotato. A differenza di Letta, ha dalla propria parte molti pezzi dell'organizzazione piddina sul territorio, che non sarà più quella di una volta, ma può ancora fare la differenza. Vincesse lui, il rientro di Matteo Renzi e degli altri fuoriusciti di Italia viva sarebbe probabilmente questione di giorni, e la sfida delle elezioni la gestirebbe un segretario i cui legami interni sono molto diversi da quelli di Letta e che non ha alcuna intenzione di legarsi a doppio filo con i Cinque Stelle. Per il professore tornato da Parigi sarebbe una Caporetto paragonabile a quella subita nel 2014 ad opera di Renzi. Così Letta sta accarezzando la possibilità di imboccare un'altra strada. Gliel'ha indicata l'altro giorno Goffredo Bettini, pure lui convinto che per il Pd non ci siano alternative all'alleanza col M5S di Giuseppe Conte. Consiste nel provocare le elezioni anticipate nello stesso modo in cui potrebbero farlo Giorgia Meloni e Matteo Salvini: sostenendo l'ascesa di Mario Draghi al Quirinale.

 

 

 

A quel punto il parlamento incarica non avrebbe più nulla da dare al Paese, a maggior ragione davanti alla volontà bipartisan di sciogliere le Camere. Nelle vesti di capo dello Stato, Draghi decreterebbe la fine della legislatura e gli italiani andrebbero a votare nella primavera del 2022. Prima, cioè, della convocazione del congresso del Pd. Così sarebbe Letta a fare le liste elettorali, mettendo dentro chi vuole lui e lasciando fuori (o candidando in terre ostili) i propri avversari interni, vittime designate di questa manovra. Letta deve capire, insomma, qual è la strada meno rischiosa per lui.

 

 

 

Una indicazione importante l'avrà dal voto per il sindaco della capitale, dove Bettini si vanta ancora di contare qualcosa. Se Roberto Gualtieri, che secondo i sondaggi ha buone probabilità di andare al ballottaggio contro il candidato del centrodestra Enrico Michetti, dovesse spuntarla bene, e la coalizione Lega-Fdi-Forza Italia uscisse ridimensionata dalle amministrative, Letta potrebbe trovare la forza di scommettere sulle elezioni anticipate. Andrebbe così a posto l'ultimo pezzo che ancora lo differenzia da Conte. Sarebbe un punto per Bettini (specialista nel condurre i capi del Pd verso il precipizio, ma questa è un'altra storia)

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