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Pd fuori dal mondo, in ansia per il ddl Zan e non per la stangata in bolletta: ecco perché la sinistra perde

Fausto Carioti
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La distanza tra la realtà e i partiti della sinistra è la stessa che passa tra gli stratosferici rincari delle bollette e il ddl Zan. I primi sono il principale tormento di famiglie e imprese, il secondo è la grande preoccupazione del Pd e dei suoi alleati. Il costo dell'elettricità riguarda i conti di milioni di nostri connazionali, la capacità delle aziende di stare sul mercato e la tenuta dei posti di lavoro. La legge contro la «omotransfobia» interessa invece 35 italiani l'anno: tanti, secondo l'Osservatorio del Viminale, sono i reati «segnalati» (e dunque approssimati per eccesso) classificabili come frutto dell'odio per l'orientamento sessuale o la identità di genere. Eppure, a sinistra non hanno dubbi su quali siano le priorità, i temi per cui valga la pena combattere.

 

 

Anche ieri, il momento di mettere nel surgelatore il ddl Zan, per evitare di farlo impallinare nell'aula del Senato, è stato accompagnato dalla solenne promessa che lo scontro di civiltà è solo rimandato: se ne riparlerà «subito dopo l'approvazione delle misure per la messa in sicurezza del Paese», ossia tra un mese e mezzo. Il caro energia, al contrario, non scalda nessuno. I pochi del Pd che ne parlano fanno il minimo sindacale, chiedono al governo di «stanziare le risorse per tutelare i consumatori dagli aumenti». Cioè di usare soldi pubblici, che lo Stato un domani chiederà indietro ai contribuenti, per coprire quei rincari che oggi famiglie e imprese non sono in grado di sopportare: un prestito, non certo la soluzione.

 

 

Risolvere il problema vuol dire affrontare l'insensatezza delle politiche europee. Il costo che oggi le imprese pagano per emettere anidride carbonica (il cosiddetto "diritto a inquinare") è pari ad oltre 60 euro per tonnellata di CO2, più del doppio del prezzo medio del 2020. È uno dei motivi per cui le bollette stanno per aumentare del 40%, ed è solo l'inizio. La tassa ambientale crescerà ancora, man mano che i vincoli europei si faranno più stringenti. L'impegno ad estenderla in altri settori, inclusi i trasporti marittimi e il riscaldamento domestico, secondo gli analisti potrebbe spingere il prezzo dei permessi di emissione, quotati sul mercato, attorno ai 100 euro già entro la fine dell'anno. Con tutto quello che comporterà per le bollette. È o non è, questo, il primo problema per chi si proclama difensore dei lavoratori e dei poveri?

 

 

Nei sindacati, viva Iddio, qualcuno lo ha capito. Ieri il capo dei tessili della Cgil, allarmato dai rincari di elettricità e gas, ha detto che «i numeri non sono classificabili politicamente e quando si ha la febbre non serve a nulla dare la colpa al termometro». E tra le cause della malattia ha indicato «i costi dei permessi che le aziende devono comprare per le emissioni di CO2». Perché a questo siamo arrivati: alla incompatibilità tra i dogmi dell'ecologismo brussellese e il mantenimento dei posti di lavoro e del tenore di vita di tanti. Sinora le due cose si sono tenute insieme, per quanto male e sempre peggio, ma adesso siamo entrati in una zona nella quale non è più possibile. Persino la Cgil lo ha realizzato. Nel Pd, zero: da Enrico Letta in giù, nessun segno di resipiscenza. La differenza tra chi ha ancora contatti con gli operai e le fabbriche e chi vive barricato dentro la Ztl. Convinto, come in quella canzone di Mina, che la vita è tutta lì. 

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