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Antifascismo, ecco perché è una questione psichiatrica: rimozione e nevrosi, per la sinistra ci vuole Freud

Corrado Ocone
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E se l'ossessione della sinistra per il fascismo fosse leggibile con categorie psicoanalitiche? Premetto che chi scrive considera la psicoanalisi solo uno strumento, fra l'altro più metaforico che "scientifico", a disposizione dello studioso. Ed è proprio in questo carattere di metafora che andranno interpretate le mie parole. Perché, in effetti, di ossessione vera e propria si tratta, tanto più tale quanto più è evidente che il fascismo storico è bello e sepolto da molti lustri e che quello degli epigoni è ridotto alla testimonianza (qualche volta ingiustificabilmente violenta) di poche e sparute minoranze. Le quali, fra l'altro, son ben conosciute e schedate dalle forze di polizia e perciò dovrebbero essere sorvegliate e preventivamente isolate.

 

 

Tipico dell'ossessione è però non solo vedere pericoli là dove non ci sono, ingigantendo episodi pur gravi e delinquenziali, ma anche estendere la categoria di fascismo, descrittiva e morale al tempo stesso, fino a coinvolgere in buona sostanza (non fosse altro che per una pretesa "complicità") chiunque non sia di sinistra. La prima categoria freudiana da richiamare è senza dubbio quella della rimozione. Basta aprire un qualsiasi dizionario di psicologia per rendersi conto che la rimozione si ha non quando si fa fino in fondo i conti con la propria storia, vedendone i lati oscuri insieme a quelli positivi (i due elementi sono quasi sempre intrecciati nelle vicende umane), ma semplicemente  nascondendo, mettendo sotto il tappeto, la parte negativa della propria storia. Quella che prese seriamente sul serio le parole di Karl Marx e fece nel Novecento della "violenza levatrice della storia" il proprio faro ideale con politici come Vladimir Ilic Lenin e intellettuali come Georges Sorel. Il quale ultimo, autore delle incendiarie Riflessioni sulla violenza (1908), ispirò non solo i comunisti ma anche i fascisti, a cominciare da Benito Mussolini che ne era tanto ammiratore da definirlo «nostro maestro». Ed è anche questa pericolosa liaison ideale che si vuole forse oggi occultare asportando e dislocando l'oggetto della vergogna.

 

 

 PARRICIDIO INCOMPIUTO
La sinistra, nel rimuovere quella storia, ha compiuto, ed ecco un'altra categoria freudiana, quasi un parricidio. E dico quasi perché, come ben sappiamo, una certa mentalità illiberale e non certo inclusiva (per usare una parola di moda fra i compagni), permane in molti loro comportamenti. Come ci ricorda Sigmund Freud, uccidere il Padre è un fattore di crescita indubbio ma è anche un atto che crea sensi di colpa infiniti. E di qui nasce la necessità, totemica e rituale insieme si direbbe, di perpetrare l'assassinio per convincersi di stare dalla parte del Giusto e del Bene. Ove è evidente che l'atteggiamento "sano" sarebbe quello di affrontare il toro per le corna: assumersi ogni colpa per il passato e farlo vera mente passare cambiando non solo simboli e rituali ma mentalità. A fare resistenza è però la fissazione, che, come ci illustra sempre la psicoanalisi, facendo riferimento a pulsioni ancestrali, impedisce il distacco del paziente dal suo oggetto.

 

 

REGRESSIONE
C'è poi anche una evidente regressione, che è in Freud il rimanere fermi ad una fase storica individuale o collettiva precedente e ripeterla ansiosamente: l'antifascismo militante aveva un senso che quando il fascismo c'era effettivamente e occorreva sradicarlo, non certo oggi che esso è essenzialmente un problema di ordine pubblico ed è pertanto facilmente arginabile da una democrazia forte come è in fin dei conti la nostra. Il gioco intellettuale potrebbe continuare ancora e portarci lontano, ma, sinceramente, non voglio qui competere con gli illustri intellettuali di sinistra (penso a Massimo Recalcati) che a volte piegano i loro studi alle evenienze e convenienze del momento. Anche perché prima che di nevrosi, il problema è appunto ed eminentemente politico. Ed è nell'orizzonte della politica che andrebbe affrontato e risolto. Stia perciò tranquillo Enrico Letta: non gli stiamo suggerendo il lettino al posto dello scranno appena conquistato! 

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