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Vittorio Feltri, cattivi presagi sul Quirinale: chiunque, ma non un altro comunista

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Vittorio Feltri
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L'articolo che mi accingo a scrivere forse sorprenderà i nostri lettori e anche il direttore responsabile di Libero, Alessandro Sallusti, e me ne scuso in anticipo. La sintesi del mio pensiero è questa: non mi appassiona l'elezione del prossimo presidente della Repubblica, che non sempre, ma spesso, assomiglia al Superenalotto. Vince chi non te lo aspetti. Sarà così anche stavolta? Probabile, non ne sono sicuro. A me basterebbe che il garante della Costituzione non fosse un comunista come Napolitano che maneggiava il Quirinale come il tinello di casa sua, metteva i piedi nel piatto e puntava solo a eliminare Silvio Berlusconi dall'agone politico. Oggi, leggendo i giornali, si scopre che i candidati al trono sono personaggi strani ma proprio per questo papabili.

 

 

 

Si fanno i nomi di Casini perché è il veterano del Parlamento, essendoci entrato quando era Forlaniano e indossava i calzoni alla zuava. Il che non mi sembra un merito decisivo; poi quello della signora Finocchiaro, rossa come un pomodoro; poi quello di Amato, uno che nella vita ha cambiato opinione e schieramento ogni tre giorni; poi quello di Gianni Letta su cui non ho niente da dire ma molto da ridire, a cominciare dall'età. Se sul Colle dovesse andare, ed è improbabile, il Cavaliere di Arcore sarei felice perché mi ha reso ricco e non mi sembra una motivazione banale. Resta Mario Draghi, il quale ha le carte in regola per diventare il numero uno, ma proprio per questo non sarà scelto perché tutti preferiscono rimanga a Palazzo Chigi per scongiurare elezioni anticipate, che per altro avverranno nel 2023, in quanto i parlamentari non pensano al bene del Paese, di cui se ne fregano, prediligono quello delle loro tasche: mi riferisco alla indennità di seggio e alla pensioncina spettante agli ex deputati e senatori.

 

 

 

A costoro l'ex banchiere andrebbe benissimo anche come capo dello Stato, però temono appunto che se lui sale sulla poltrona più alta, e non riesce a trovare un premier in grado di sostituirlo al vertice del governo, si sciolgano le Camere. Poco male, direte voi. Ma sarebbe un disastro per i reduci, molti dei quali, essendo stato ridotto per legge il numero complessivo degli onorevoli e similari, non tornerebbero a Montecitorio né a Palazzo Madama. E allora, che si fa? Ho solamente una idea difficilmente sbagliata: la marmaglia politica voterà non il migliore, ma il peggiore con il quale sarà più agevole trattare. 

 

 

 

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