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I segreti di 007, la spia che non invecchia

Molto Churchill, moltissimo Fleming: un libro traccia l’identikit dell’agente più famoso al servizio di Sua Maestà
di Daniele Priorivenerdì 12 dicembre 2025
I segreti di 007, la spia che non invecchia

2' di lettura

Chi è davvero James Bond? Un fantasma con licenza di uccidere, un arbitro del bene, o semplicemente l’ennesimo mito che l’Inghilterra si è inventata per illudersi di essere ancora un impero? Carlo Baroni, nel suo Essere James Bond, pubblicato dalla casa editrice Ares, affila la penna e ci consegna un identikit sorprendente dell’agente più famoso del pianeta. Scozzese in terra inglese ma “malato” di inglesitudine. Né conservatore né laburista ma assolutamente simile e in qualche caso perfettamente coincidente con Winston Churchill, il premier eroe della Seconda Guerra Mondiale, James Bond resta il mito che non invecchia mai: cambia volto, stile, epoca, ma il suo mito rimane intatto. Tale e quale a quello nato nel 1953 dalla penna di Ian Fleming.

L’agente segreto più celebre del mondo debutta sul grande schermo nel 1962 con Sean Connery e da allora attraversa decenni di cinema, moda e cultura popolare, incarnando di volta in volta e di attore in attore il fascino e le contraddizioni del suo tempo. Con ironia e passione, Carlo Baroni firma un viaggio nel mondo di 007: esplora il suo passato letterario, svela l’uomo dietro la spia e il romanziere dietro il mito. “Essere James Bond” è un ritratto tridimensionale di un’icona globale: impeccabile, letale, fedele alla Corona. Il libro parte da un dialogo cult tra Bond e Vesper, ma non nei romanzi di Fleming: Baroni sceglie Casino Royale del 2006, il Bond di Daniel Craig, quello ruvido, quello che piace a chi vede la vita non come un Martini, ma come uno scotch ingoiato in un unico sorso. Nell’identikit giornalistico al quale l’autore ricorre troviamo tutto quello che si vuole sapere su Bond e sul suo frammentario passato, poco esplorato anche nei romanzi da cui la saga cinematografica ha preso le mosse: infanzia dolorosa, rabbia, solitudine e solitudine aggravata dalla condizione di orfano.

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Convince il parallelismo tra Bond e il suo creatore. Per Baroni, Ian Fleming non ha inventato 007: lo ha partorito dai propri fallimenti. Un uomo allevato tra aspettative tradite, scuole d’élite che ti spezzano prima di farti grande, amori sfortunati e quell’Inghilterra snob che ti giudica sempre, anche quando vinci. Così Bond diventa la versione riuscita di Fleming: elegante, temerario, colto quanto basta ma pieno di ferite che non cicatrizzano fino a renderlo il perfetto contrario dell’uomo perfetto. Uno che salva il mondo ma perde sempre tutto il resto. Uno che fa il duro perché non può permettersi di cedere. Un patriota, sì, ma dall’aura tragica e antisalottiera che alle trame del politically correct nelle quali l’incedere degli anni vorrebbe provare a incastrarlo, lui continua a preferire un cinico sorso di autoanalisi da mettere a frutto per la prossima missione.

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