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Non pagare l'Iva si puòI giudici assolvono la crisi

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Imprenditore dichiarato innocente: "Non avrebbe potuto ammodernare gli impianti". E' la quarta sentenza simile

Edoardo Cavadini
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Pagare tutte le tasse in tempo o iniettare gli scampoli di liquidità nell'azienda, per fare investimenti o evitare di chiudere baracca. L'imprenditore che fino a ieri sceglieva di scommettere sulla propria attività, sfidando l'inesorabilità dell'erario, se la vedeva molto brutta. Quasi scontata condanna penale e interessi di mora salatissimi. Ma forse qualcosa - finalmente - sta cambiando. Lo si intravede dalle sentenze che negli ultimi mesi stanno creando giurisprudenza inedita in Italia, sgravando chi fa impresa dalla patente di «evasore tout court». L'ultima in ordine di tempo viene da Reggio Emilia dove A. R., titolare di un'azienda di meccanica, nel 2007 «salta» il termine ultimo del 27 dicembre per il pagamento dell'Iva, facendo scattare la segnalazione penale. Non importa se poi ha pagato a rate il suo debito, la procura va avanti a testa bassa. Ma sei anni dopo è riconosciuto innocente dal tribunale reggiano. Una decisione affatto scontata perché in casi come questi la legge picchia duro: trattandosi di un reato omissivo scatta in automatico la segnalazione da parte dell'Agenzia delle Entrate (in violazione dell'articolo 10 ter della legge sui reati tributari, dlgs 74/2000), con conseguente procedimento penale. Nello specifico all'imprenditore era stato contestato un mancato versamento di 125.000 euro, che con le sanzioni accessorie era schizzato a 150.000 euro. Soldi che il nostro non aveva. Non perché si fosse comprato un panfilo o scialasse i residui di cassa alle Maldive, ma perché l'aggiornamento degli impianti e la messa a norma di alcune strutture  avevano drenato tutta la liquidità disponibile. Mettiamoci pure la difficoltà di farsi pagare da certi clienti e il muro innalzato dalle banche davanti alla richiesta di ristrutturare le linee di credito. I conti sono semplici e lo avevano messo davanti a un bivio: rilanciare l'attività o saldare il debito con lo Stato secondo le scadenze. A. R. scelse la prima strada e il tribunale oggi gli ha dato ragione con formula piena «perché il fatto non costituisce reato».  Un'assoluzione portata a casa dimostrando al giudice che i soldi sottratti temporaneamente al fisco sono stati pompati interamente nell'attività. Un lavoro di carte e certificati portato avanti dagli avvocati Gianpaolo Barazzoni e Veronica Camellini di Reggio Emilia, che - oltre dimostrare la correttezza di gestione dell'attività - hanno prodotto la documentazione del piano di investimenti. A corredo, hanno avuto un ruolo decisivo le altre sentenze che hanno riconosciuto la non punibilità - di fatto - per l'imprenditore che tra pagare l'Iva e mettere al riparo la propria attività non ha dubbi. I casi riconosciuti, che sono entrati nel fascicolo di questo processo, sono due a Milano e uno a Novara. Ma altri pronunciamenti per casi simili ci sono stati a Padova, a Pavia e Firenze. E se la crisi stesse facendo - finalmente - giurisprudenza?

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