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Demostenes Floros: "Grosso rischio". L'esperto rivela i pericoli che corre l'Italia: cosa ci aspetta

Demostenes Floros  

Massimo Sanvito
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La guerra in Ucraina non sta lasciando solo migliaia di morti tra le strade e nei villaggi devastati ma anche una lunga e pericolosa scia di divisioni interne all'Europa. Economia e geopolitica. Interessi politici e interessi energetici. Tensioni e contraddizioni. Pressioni e ideologie. Promesse e bugie. Il professor Demostenes Floros, Senior Energy Economist del Centro Europa Ricerche (Cer) spiega a Libero i contorni del contesto internazionale: dagli Stati Uniti alla Russia, dall'Algeria ai Paesi baltici. Gas, minacce d'embargo, rubli, prezzi schizzati alle stelle. L'Unione Europea non pare troppo compatta, mentre davanti a noi si apre un bivio: legarci agli americani o non mollare i russi?

Professor Floros, ci dia i numeri: quanto è forte la nostra dipendenza dal gas russo?
«Partiamo da un dato fondamentale. La dipendenza energetica dall'estero del nostro Paese è del 75%, mentre quella dell'Unione Europea del 59%: si tratta di due dipendenze particolarmente significative. Tra le grandi economie del pianeta, infatti, solo una ha una dipendenza più alta ed è il Giappone col 90%. Guardando al paniere energetico italiano, la prima fonte che usiamo, per il 41%, è il gas naturale e il 40% dei consumi vengono dalla Russia. Per quanto riguarda l'Ue, invece, l'utilizzo di gas naturale è del 25%. Parliamo di 29 miliardi di metri cubi per l'Italia e 155 per l'Europa di gas russo».

Diversificare è possibile oppure no?
«È molto difficile e spiego perché. Ora in molti dicono che ci siamo gettati tra le braccia della Russia e ne paghiamo le conseguenze, ma le cose stanno realmente così? Le nostre importazioni di gas russo sono raddoppiate negli ultimi dieci anni: la Russia ci ha fornito la materia al prezzo migliore e Gazprom non è mai venuta meno ai propri obblighi nei nostri confronti. Inoltre gli altri fornitori non hanno investito così tanto come i russi. In Europa, infatti, la produzione di gas cala da almeno 16 anni. Va però anche detto che il nostro paese, grazie a Enrico Mattei, vanta una diversificazione tra i fornitori molto significativa rispetto ad altri: abbiamo infatti aperto all'Azerbaijan, al gas liquefatto dal Qatar e dagli Stati Uniti».

E per quanto riguarda la nostra produzione interna?
«La burocrazia, i problemi legati all'esplorazione dei giacimenti e i costi di estrazione hanno contribuito a far crescere il peso della Russia. Detto ciò, nel Mar Adriatico disponiamo di riserve sottomarine di gas che possono valere 30 miliardi di metri cubi di gas all'anno, poco meno della metà dei 76 miliardi di fabbisogno nazionale. Però anche se triplichiamo la produzione interna, ciò è costoso e necessita di tempo: le importazioni dalla Federazione Russa non si sostituirebbero dall'oggi al domani».

 

 

E la strada algerina? È percorribile?
«I ministri Cingolani e Di Maio, durante il loro recente viaggio, hanno strappato la promessa di tre miliardi di metri cubi nei prossimi mesi e ulteriori sei miliardi per l'anno successivo: un totale di nove miliardi di metri cubi di gas liquefatto, quindi più costoso, ma soltanto sulla carta. Sullo sfondo non ci sono solo pro blemi economici ma anche geopolitici, perché l'Algeria è un grande fornitore del la Spagna, coprendone il 47% del fabbisogno. Nelle ultime settimane la situazione è molto tesa per ciò che sta succedendo in Africa. C'è una sostanziale differenza di posizioni sulla popolazione sahrawi: Italia e Algeria sono unite per riconoscer ne l'indipendenza dal Marocco, mentre la Spagna sta con quest' ultimo. Inevitabili le ripercussioni, anche nella stessa Unione europea».

Il nostro governo come dovrebbe muoversi?
«Innanzitutto va compreso il problema che ci troviamo di fronte. Esistono forti contraddizioni nel nostro Paese: abbiamo interessi politici che ci legano agli Stati Uniti e interessi energetici e commerciali che ci legano alla Russia e guar dano verso l'Eurasia. A mio avviso i no stri interessi non coincidono con quelli della Polonia e dei Paesi baltici che hanno posizioni oltranziste. L'interdipendenza con la Russia esisterà sempre perché anche i russi non possono fare a meno delle nostre risorse minerarie: il fossile ha coperto il 40% del fabbisogno russo e da loro noi compriamo anche greggio e carbone».

L'Europa è unita?
«La maggior parte dei nostri politici a Bruxelles dice di sì ma personalmente ho molti dubbi: la guerra ha aumentato la conflittualità interna. Borrell (Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, ndr) il 5 maggio ha dichiarato che l'embargo del gas naturale russo non è oggetto di discussione sulla scia di due dati forniti dalla Bundesbank: 180 miliardi di euro di aggravio economico per la Germania come conseguenza e un calo del Pil da +3 a -2%. I primi a dire no all'embargo sono stati Ungheria, Austria e Germania perché o non hanno il mare o non hanno i rigassificatori ma hanno dato l'ok al doppio pagamento in rubli. Grecia, ma anche Malta e Cipro cercano di far pesare i propri interessi navali. I francesi, invece, spingono per l'embargo in quanto che la loro principale fonte è il nucleare che pesa per il 36%. Aggiungiamoci inoltre che Usa e Gran Bretagna stanno scaricando la crisi sudi noi...».

Un disastro. Che effetti sta avendo la guerra sulle imprese?
«C'è davvero molta preoccupazione. Borrell sta cercando di dirci che i prezzi del gas naturale sono schizzati verso l'alto a causa della guerra ma questo non è vero perché sono aumentati da marzo 2021. Il settore del manufatturiero in Italia ha perso l'8,1% già nel 2021 e ciò che verrà dopo dovrà tener conto delle conseguenze delle sanzioni. Molte nostre imprese hanno rallentato le produzioni, qualcuna le ha già bloccate. Avremo un autunno molto caldo».

 

 

Perché i prezzi sono aumentati?
«Per diversi fattori ma il principale ha a che fare con le modalità d'acquisto del gas naturale. Noi prima acquistavamo con contratti di lungo periodo, anche di 30 anni, a prezzi che dipendevano da quelli del petrolio. L'Ue ha modificato questi contratti: domanda e offerta slegate dai prezzi del petrolio e non più lunghi ma brevi o addirittura spot. I russi ci avevano messo in guardia sull'aumento dei prezzi ma non li abbiamo ascoltati. La nostra responsabilità è figlia sia della politica che dell'ideologia: politica per le pressioni americane e ideologica in merito alla vecchia modalità di acquisto non a libero mercato. Non si parla mai di un tema fondamentale, però...».

Quale?
«L'Italia sta cercando di diversificare col gas liquido dagli Usa ma il problema è che gli americani usando la tecnica del fracking (fratturazione idraulica, ndr) sfruttano un pozzo al 50/80% nel giro di due anni. Ciò significa che gli americani devono continuare a perforare, pertanto siamo sicuri di volerci legare mani e piedi agli Usa? Siamo sicuri di affrancarci dalla Russia per legarci a chi a sua volta dovrà legarsi all'estero nel giro di cinque anni?».

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