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Inps, "vaffa" al lavoro: dimissioni a raffica post-Covid, quanti lasciano il posto fisso

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L'ultimo report dell'Inps contiene un dato inquietante. Nel 2021, in particolare nel secondo semestre, è stato registrato un significativo incremento delle dimissioni relative a rapporti di lavoro a tempo indeterminato. Nel suo XXI Rapporto, l'Istituto previdenziale spiega che le dimissioni sono cresciute passando da 950.000 nell'ultimo anno pre-pandemia, (da febbraio 2019 a gennaio 2020) a quasi 1,1 milioni tra febbraio 2021 e gennaio 2022. Un incremento più rilevante nelle imprese con oltre 15 dipendenti, dove le dimissioni sono cresciute di 100.000 unità; nelle piccole imprese l'incremento si è fermato al di sotto delle 50.000 unità. L'Inps osserva che si tratta soprattutto di un "segnale della riattivazione dei flussi nel mercato del lavoro: infatti il tasso di ricollocazione entro tre mesi è ritornato ai valori registrati nel 2019 (tra il 60 e il 70%)".

Tant'è. Se le dimissioni aumentano, non crescono di certo gli stipendi e in prospettiva le pensioni. Con 30 anni di contributi versati e un salario di 9 euro lordi l'ora, un lavoratore potrebbe avere una pensione a 65 anni di circa 750 euro. Il calcolo dell'Inps ipotizza il futuro previdenziale della generazione X (i nati tra il 1965 e il 1980) sottolineando che i più giovani dovranno lavorare in media tre anni in più rispetto ai più anziani. "Se il soggetto percepisse 9 euro l'ora per tutta la vita attiva, si stima che l'importo di pensione si aggiri sui 750 euro mensili (a prezzi correnti), un valore superiore al trattamento minimo, pari a 524 euro al mese per il 2022.

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