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John Elkann mani di forbice: Stellantis taglia altre 3.600 teste

John Elkann

Sandro Iacometti
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Per carità, l’azienda e il suo capo Carlo Tavares continuano a ribadire che l’Italia è centrale nella strategia del gruppo. Resta solo da capire, a questo punto, se lo sono anche gli italiani. No, perché se continua così tra un po’ le fabbriche resteranno vuote. I numeri esatti, ovviamente, li sa solo Stellantis. Ma ad occhio la forza lavoro di Fca-Chrysler in Italia, da quando gli Agnelli-Elkann hanno deciso di andare a nozze con i francesi, nel 2021, è già scesa di quasi 10mila unità. I dipendenti sono passati da 51.300 ai 42.700 di fine 2023. L’operazione falce (che sta lasciando i metalmeccanici senza martello) è partita subito dopo la fusione con Psa, ma il cambio di marcia è arrivato lo scorso autunno, con l’iniziativa che il gruppo ha simpaticamente battezzato «costruisci il tuo futuro», omettendo la seconda parte “fuori da qui”. Si tratta, infatti, di 15mila mail spedite a novembre ad altrettanti dipendenti con un ricco programma di incentivi e bonus per chi decide di lasciare l’azienda per «nuovi progetti personali e professionali».

Diverse centinaia di lavoratori, capita l’antifona, hanno deciso di accettare l’uovo oggi sapendo bene che tanto domani non arriverà nessuna gallina. Per gli altri che hanno preferito non perdere la speranza, pur assistendo ai continui annunci dell’azienda sull’accelerazione delle produzioni in Algeria, in Marocco, in Polonia e in Spagna, la mannaia è scattata in questi giorni. Anche in questo caso, va detto, nessun licenziamento. Solo uscite volontarie. E anche ben pagate. Ma la sostanza cambia poco. Come ha detto Unimpresa, preoccupata per gli effetti sull’indotto e su tutta la filiera della componentistica, «la strategia di Stellantis è chiara: impoverire l’azienda sotto tutti i punti di vista e creare i presupposti per un futuro disimpegno dal nostro Paese. L’occupazione è un punto fondamentale di un’azienda manifatturiera e in special modo nel campo dell’automotive. La riduzione dell’organico comporta perdita di know how, riduce la manodopera specializzata, mortifica percorsi professionali e svilisce la formazione. Fattori essenziali per una grande industria che non si potranno recuperare in poco tempo». E qui nasce la domanda: c’è qualcuno in Stellantis che li vuole davvero recuperare?

 

 

 

La raffica di esuberi annunciata in questi giorni qualche indizio lo fornisce. Martedì è arrivata la doccia gelata per Mirafiori, accordo coi sindacati (tranne la Fiom) per 1.520 uscite. A cui se ne sono aggiunte 850 a Cassino (di cui 300 in trasferta a Pomigliano) e 100 a Pratola serra. Per un totale di circa 2.500 tagli. Ieri la falce ha ripreso a roteare: 500 a Melfi, 424 a Pomigliano, 121 a Termoli, 30 a Cento, 12 a Verrone. Il bilancio complessivo, stando a quanto riferiscono i sindacati, è di 3.597 uscite.

C’è chi sospetta, forse non a torto, che la tempistica dell’operazione sia tutt’altro che casuale. La settimana prossima, infatti, Stellantis si presenterà al ministero delle Imprese per battere nuovamente cassa (c’è chi stima in circa 220 miliardi i sussidi pubblici che la Fiat ha incassato nell’arco della sua storia). E cosa c’è di meglio che presentarsi al tavolo con 3.500 esuberi già annunciati per colpa dei costi della transizione ecologica che il governo non vuole adeguatamente finanziare? Un bluff? Un ricatto? Una sofisticata strategia? Quello che si vede, per ora, è che la produzione, tra tagli, cassa integrazione e solidarietà, inizia a dare preoccupanti segnali di rallentamento. Ieri il Sole 24 Ore dava notizia di numeri ridotti al lumicino per Mirafiori, con soli 12mila veicoli sfornati nei primi tre mesi dell’anno. Per replicare la produzione dello scorso anno (-10% rispetto al 2022) avrebbero dovuto essere quasi il doppio. Ma a preoccupare, oltre ai piani di Tavares, sono quelli degli Elkann, che sembrano ormai in preda ad un fuggi fuggi generale da tutte le attività italiane del gruppo.

 

 

 

Mentre continuano a rincorrersi le voci di un disimpegno dalle due testate ammiraglie del gruppo Gedi, Repubblica e Stampa, ieri è stato annunciato l’accordo con la Msc di Aponte per vendere il Secolo XIX. L’operazione include anche 4 testate collegate, MediTelegraph, L’Avvisatore Marittimo, Il Giornale del Ponente Ligure e Ttm. Bye bye Italia.

 

 

 

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