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Auto elettriche, altro regalo alla Cina: Europa divisa sui dazi

Attilio Barbieri
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«La Ue deve riconsiderare i dazi punitivi sulle auto elettriche cinesi». Così il premier spagnolo Pedro Sanchez ha annunciato il voltafaccia di Madrid sulle misure annunciate dalla Commissione europea per arginare l’invasione di veicoli a basso prezzo made in China. «Devo essere franco con voi», ha detto il primo ministro spagnolo durante una visita a Kunshan, nella Cina orientale, «dobbiamo ripensarci, tutti noi, non solo gli stati membri, ma anche la Commissione europea». Sanchez ha sottolineato che non c’è bisogno di «un’altra guerra, in questo caso una guerra commerciale». Durante un incontro con il presidente Xi Jinping lunedì, Sanchez aveva espresso il suo sostegno per «un commercio equo» con la Cina. Negli ultimi mesi la Spagna era stata tra i principali sostenitori della proposta della Commissione di imporre dazi sui veicoli elettrici prodotti in Cina.

Ancora a luglio Madrid aveva votato a favore dei dazi. Nel voto vincolante imminente, 15 dei 27 Paesi della Ue, che rappresentano il 65% della popolazione, dovrebbero votare «contro i dazi per bloccarne l’entrata in vigore. Probabilmente nel dietrofront di Sanchez ha pesato anche l’imminente apertura in Catalogna, per la precisione nella zona franca di Barcellona, del primo impianto per la produzione di vetture elettriche della Chery, colosso cinese delle quattro ruote a controllo pubblico. Uno dei costruttori che hanno beneficiato degli aiuti di stato elargiti a piene mani da Pechino e alla base dei dazi decisi da Bruxelles.

 

 

 

Così l’Europa è sempre più divisa su un tema decisivo per l’industria dei Ventisette. La posta in gioco è altissima perché il Partito comunista cinese ritiene la priorità numero uno la conquista della leadership nel mercato mondiale dei veicoli elettrici. E i costruttori dell’ex Celeste impero sono gli unici in grado di arrivare sul mercato nel giro di pochi anni - tre o quattro ma forse anche meno - con utilitarie elettriche al prezzo di listino di poco superiore ai 10mila euro. Il +29% nella produzione di veicoli a energia pulita annunciato in settimana da Pechino è soltanto l’antipasto di quel che ci aspetta entro il 2035.

Ma come scrive il Financial Times, sul voltafaccia di Sanchez potrebbe anche aver influito l’annuncio cinese che tra le contromisure allo studio c’è anche «l’indagine sulle importazioni di carne di maiale europea». E la «Cina ha importato 1,5 miliardi di dollari di prodotti a base di carne di maiale dalla Spagna l'anno scorso, più di qualsiasi altro paese della Ue». Ma fra i grandi esportatori di carne suina verso il dragone cinese ci sono anche Olanda, Danimarca, Germania e Belgio.

«Abbiamo espresso la nostra sorpresa per il fatto che questi negoziati commerciali si siano intrecciati con potenziali sanzioni contro un settore che non ha nulla a che fare con il settore automobilistico», ha affermato Sanchez dopo il suo incontro con il presidente Xi Jinping. Aggiungendo: «Il settore suinicolo può avere la garanzia che il governo spagnolo difenderà, ovviamente, i suoi interessi». Non poteva essere più chiaro.

 

 

 

A luglio appena undici Paesi su ventisette avevano detto sì alle tariffe antidumping sui veicoli made in China. Ora sono scesi a dieci. A guidare il fronte del «no», è l’Ungheria di Orban. E non è un caso, visto che a Seghedino, città ungherese al confine con la Serbia sorgerà la prima fabbrica di vetture cinesi della Byd nel Vecchio Continente. Ma anche la Germania è in bilico, dopo l’appello dei costruttori tedeschi al governo del cancelliere Scholz per riconsiderare il «sì» di Berlino alle tariffe europee. Alla base della presa di posizione di Mercedes, Volkswagen e Bmw, l’annuncio di Pechino di voler introdurre dei contro-dazi sulle auto di lusso europee esportate in Cina, i due terzi delle quali provengono dalle fabbriche tedesche.

Ed è ancora in sospeso l’ennesima indagine antidumping annunciata per ritorsione da Pechino sui prodotti lattiero caseari europei che colpirebbe, in particolare, Germania, Francia e Italia. Per non dimenticare quella annunciata a gennaio sempre dai cinesi su brandy e cognac. Così, alla fine, prima che sia scoppiata davvero la guerra commerciale fra Cina ed Europa, si può dire che gli europei si preparano a perderla senza che sul campo di battaglia sia sparato un solo colpo di fucile. Xi Jinping e compagni (nel senso letterale del termine) ci tengono per le palle. E ne sono pienamente consapevoli.

 

 

 

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