Prima la promozione da parte dell’arcigna agenzia di rating S&P. Poi i dati sui salari in crescita. Infine la certificazione che da quando Giorgia Meloni è arrivata a Palazzo Chigi sono stati creati oltre un milione di posti di lavoro. È la realtà che si incarica, ancora una volta, di smentire la narrazione di Elly Schlein e Maurizio Landini. sono e sono noti, come per esempio il fatto che le retribuzioni degli italiani, taglieggiate dall’inflazione, sono ancora inferiori dell’8% rispetto a gennaio 2021. Epperò di sicuro l’Italia, sotto Meloni, va meglio di come andava quando a governare c’era la sinistra. E soprattutto sta correggendo alcuni squilibri, come bassi tassi di occupazione e stipendi al palo, che la caratterizzano da decenni. L’inversione di tendenza rivendicata dalla premier nel suo messaggio del 1° maggio è dunque nei fatti e nei numeri. Come quelli diffusi ieri dall’Istat, che si è incaricato di smentire, nemmeno 24 ore dopo, la segretaria dem. Che giovedì, al corteo per la Festa dei lavoratori, aveva tuonato: «Il governo continua a raccontare un Paese che non c’è».
È vero che i numeri snocciolati dall’istituto di statistica indicano a marzo una lieve flessione degli occupati (-0,1%, pari a 16mila unità), ma il bilancio rimane comunque positivo in termini tendenziali: rispetto a marzo del 2024, ci sono 450mila posti di lavoro in più (+1,9%). Il tasso di disoccupazione cresce un po’ (+0,1% a febbraio) e si attesta al 6%, ma rimane ai minimi da aprile 2007. E il precariato dilagante di cui si lagna il segretario della Cgil, Maurizio Landini? Beh, pure quello è in picchiata. Grazie agli incentivi per le assunzioni stabili e a quelli per le trasformazioni dei contratti a termine varati dal governo, in un annoi dipendenti con il posto fisso sono aumentati di 673mila, mentre i precari sono diminuiti di 269mila. E poi c’è da considerare il record storico di occupati toccato a febbraio, quando risultavano al lavoro 24 milioni e 323mila persone.
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Il Paese cresce e lo fanno pure i salari? È vero, ma guai a dirlo. La giornata inizia male per la narrazione decl...La leggera flessione di marzo non ha inoltre intaccato il tasso di occupazione, che rimane ai massimi di sempre (63%). Ma è il confronto con ottobre 2022, quando si è insediato il governo Meloni, a dare ragione delle parole della premier («oltre un milione di posti di lavoro creati»). Da allora, infatti, ci sono 1 milione e 66mila occupati in più. Pure i disoccupati, nello stesso periodo, sono diminuiti (-419mila), passando da quasi 2 milioni a poco più di un milione e mezzo.
Quanto poi agli stipendi, anche in questo caso l’Istat certifica che le cose vanno meglio di quanto sostiene l’opposizione. Perché tra gennaio e marzo le retribuzioni orarie stabilite dai contratti collettivi sono cresciute del 3,9% sullo stesso periodo dell’anno scorso. Una dinamica molto positiva se si pensa che nel 2024 erano aumentate del 3,1%. Ma oltre ai dati sul mercato del lavoro, ieri sono arrivati anche i numeri sulla fiducia delle imprese. Ad aprile, l’indice Pmi della manifattura, che misura gli umori dei responsabili degli acquisti delle aziende, elaborato da Hcob e S&P, è risalito a 49,3 da 46,6 di marzo, a un passo dalla soglia di 50 punti che segnala un’espansione dell’economia.
E con grande smacco di Schlein e soci, pure il commercio con i Paesi fuori dall’Ue continua a mantenersi solido. A marzo, certifica ancora l’Istat, le esportazioni crescono del 2,9% rispetto al mese precedente e del 7,5% su base annua (dopo un calo dell’1,6% a febbraio). La corsa dell’import (+8,7% su base annua) non ha ridotto l’avanzo commerciale, che a marzo si è attestato a quasi 6 miliardi di euro (200 milioni in più rispetto a marzo 2024). Questo mentre i numeri sulla crescita, diffusi da Eurostat tre giorni fa, mostrano che il nostro Paese sta andando meglio dei suoi partner. Nei primi tre mesi dell’anno, infatti, mentre il Pil tedesco è aumentato dello 0,2% e quello francese dello 0,1%, quello italiano ha segnato un +0,3% rispetto all’ultimo trimestre del 2024, in linea con la media Ue e un decimale in meno dell’Area euro. Una notizia positiva anche per i saldi di bilancio, visto che il dato porta la crescita acquisita per quest’anno allo 0,4%, vicinissima allo 0,6% messo nero su bianco dal governo nel documento di finanza pubblica.
E tutto questo arriva a poche settimane di distanza della storica promozione di S&P. Ad aprile l’agenzia di rating - per via della stabilità politica «che ha contribuito a preservare la stabilità dei mercati finanziari e sostenere progressi costanti» - ha alzato il merito di credito del debito pubblico di Roma da BBB a BBB+, riportandolo ai livelli del 2012, dopo anni di declassamenti. Un’altra batosta per l’opposizione.