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La storia di ripete:tutti contro i tedeschi

Obama infuriato per i dati sull'occupazione Usa. Alleanza mondiale per contrastare la Merkel che ora vacilla

Lucia Esposito
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 La crisi forse sta per finire. D'altronde non ci sono alternative: o ci sarà la «disintegrazione» dell'Europa, come avverte il commissario Ue Oli Rehn («alla luce di ciò che sta succedendo e con l'attuale struttura, l'Eurozona corre il rischio concreto di disintegrarsi») oppure andremo in contro a un periodo di prosperità che potrebbe far salire le Borse europee del 26%, come sostiene un report di Credit Suisse secondo il quale c'è l'80% di possibilità che alla fine il Vecchio Continente faccia un passo verso un'integrazione nella gestione delle crisi bancarie. Nel frattempo si soffre. Tanto. E chi sta più male sono i cosiddetti Paesi periferici della Ue, Spagna e Italia in testa: in particolare Piazza Affari perde un altro punto e chiude a 12.739 punti con un mini recupero nel finale, ma dopo aver toccato quota 12.617, riaggiornando così il suo precedente minimo storico del 9 marzo 2009. Lo spread, inevitabilmente, è tornato a ballare fino a 500 per poi fermarsi a 470. Una signora cifra comunque che, accompagnata ai 575 centesimi raggiunto dal credit default swap sull'Italia (l'assicurazione da fallimento), ha fatto arrabbiare pure Barack Obama dopo aver scoperto che a maggio sono stati creati solo 69mila posti di lavoro, meno del previsto. Contro chi? Ovvio, Angela Merkel. Dal Minnesota il presidente Usa  ha detto chiaramente che la crisi nell'Eurozona ha un impatto sull'andamento dell'economia e dell'occupazione americane: «Non possiamo avere il controllo di tutto ciò che avviene in altri parti del mondo, come i problemi in Medio Oriente e quello che sta accadendo in Europa. La nostra economia  sta comunque continuando a crescere, così come l'occupazione, anche se non così velocemente come vorremmo. C'è ancora molto lavoro da fare». Anche la Cina infatti non promette più fuoco e fiamme, tanto che il petrolio (il Wti) è precipitato a 83 dollari. La ripresa si allontana. Anche nella ricca Germania, dove i disoccupati sono leggermente scesi ma il Dax di Francoforte ha perso, più di tanti altri in Europa, il 3,42% riportandosi intorno ai 6000 punti. «L'ipotesi che tutto si sfasci cresce di giorno in giorno», ha commentato il presidente di Mps, Alessandro Profumo: «Siamo sull'orlo di un baratro   e per restare vivi dobbiamo non caderci dentro.  I nostri policy maker - ha proseguito ancora l'ex capo di Unicredit - sono come un gruppo di banchieri che hanno un grande cliente e devono decidere se vale la pena di investire qualcosa per tenerlo in vita. Devono capire se c'è un piano di ristrutturazione credibile, ma per farlo non hanno molto tempo. Se ci mettono troppo, non servirà, perché l'azienda morirà prima». Mario Monti pensa di «fare le cose giuste, l'Italia ce la farà». Forse mentre diceva queste parole pensava a quelle di Corrado Passera: «Noi dobbiamo crescere meglio. La politica, la classe dirigente e poi tutti debbono avere il coraggio di misurarsi su cose più complicate del Pil, che è importante - ha detto il ministro dello Sviluppo economico   durante un incontro pubblico a Pesaro nell'ambito del Festival della Felicità (che ironia) - ma che si è dimostrato un indicatore insufficiente».   Qualcosa comunque si muove. Tanto che Josè Manuel Barroso martedì incontrerà prima Volker Kaudr, presidente della Cdu, il partito di Angela Merkel, poi Frank-Walter Steinmeier, il presidente della Spd, principale partito di opposizione in Germania. L'incontro con i due leader politici è molto importante: se la linea ufficiale è il no tedesco a misure radicali di gestione della crisi del debito sovrano, tra i parlamentari e in ambiti non pubblici la discussione è più ampia e articolata di quanto si pensi. In fondo sono stati i “cinque saggi” - consiglieri economici della cancelleria - a proporre a novembre la creazione di un fondo per raccogliere la parte di debito pubblico che eccede il 60% del Pil. L'idea  - sottolinea l'agenzia Radiocor - è quella di finanziare parzialmente il debito degli Stati attraverso  un fondo garantito collettivamente dai Paesi dell'Eurozona con scadenze di ripagamento fisse e sotto strette condizioni. Obiettivo: portare il debito al limite del 60% entro 20-25 anni. Di fatto sarebbe superato il muro della mutualizzazione, cioè del trasferimento a una entità collettiva europea della responsabilità di garantire una parte del debito pubblico degli Stati. E se  la Merkel alla fine mollerà la presa lo scenario principale, si legge in uno studio di Credit Suisse, la Borsa americana potrebbe salire del 16%, mentre l'Euro Stoxx rischierebbe un boom del 26%. E in Europa una delle piazze favorite sarebbe quella milanese.  L'Italia viene indicata come il Paese con il migliore  rapporto rischio/possibilità di profitto, tenuto conto della solidità del Belpaese. di Giuliano Zulin

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