Giancarlo Tulliani è libero dal carcere di Dubai, pagata la cauzione: l'estradizione sempre più a rischio
È tornato in libertà Giancarlo Tulliani, il cognato di Gianfranco Fini arrestato a Dubai, dove si era rifugiato da circa un anno. In Italia Tulliani è indagato per riciclaggio internazionale assieme al "re delle slot", come riporta il Tempo, Francesco Corallo, negli Emirati Arabi invece è nuovamente libero di circolare, grazie a un garante intervenuto presso la polizia emiratina, lo stesso che probabilmente gli ha pagato la cauzione. Sia a Tulliani che al suo garante sono stati ritirati i passaporti, così da evitare che si allontanino dal Paese. Alla polizia ha dovuto indicare un indirizzo di residenza certo, così da essere facilmente rintracciabile. Le speranze però che rientri rapidamente in Italia si fanno sempre più labili. Leggi anche: Giletti, come massacra Fini a Non è l'Arena Le autorità emiratine potrebbero decidere di estradarlo e consegnarlo alla giustizia italiana solo per una "cortesia istituzionale", ma di fatto non sono obbligate. Il Parlamento italiano infatti non ha ancora approvato la ratifica del trattato di estradizione con gli Emirati arabi uniti, a differenza di quanto fatto da Dubai ormai nel 2016. Un dettaglio ben noto a Tulliani, così come ad altri latitanti di lusso che dall'Italia hanno scelto quel preciso Paese per mettersi al riparo dalla giustizia. Da dove possano arrivare i soldi serviti per pagare la cauzione di Tulliani resta un mistero. Di sicuro, per quel che è noto agli inquirenti italiani, il cognato di Fini aveva un conto presso la Emirates Nbd Bank di Dubai che al 18 agosto 2016 aveva un saldo positivo pari a 633.583 euro. In parte quel denaro gli è servito per sostenere la sua latitanza dorata. Denaro intoccabile dalla giustizia italiana. Nel corso della sua permanenza a Dubai, Tulliani aveva anche ottenuto la "resident identity card", di fatto un documento di identità che gli ha permesso di aprire una società, ottendo così un visto di tre anni, rinnovabile. Nel caso in cui le autorità locali decidessero di non rispedirlo in Italia, per lui ci sarebbe un'impunità assicurata per almeno i prossimi sei anni.