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Coronavirus, il P4 di Wuhan e il rapporto tra la Cina e la Francia: "Non si sa cosa facciano in quel laboratorio"

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È ormai acclarato che la teoria del coronavirus uscito accidentalmente da un laboratorio cinese non appartiene più alla categoria dei complotti, ma si fonda su basi abbastanza solide da poter essere considerata almeno verosimile. Nell’edizione odierna, il Fatto Quotidiano ha ricostruito la storia del l“Non si sa cosa facciano in quel laboratorio”. Il P4 a Wuhan cuore dell’epidemia? Dietro c’è anche la Franciagrazie ad Antoine Izambard, giornalista di Challenge che l’anno scorso ha pubblicato un libro che indaga sui rapporti pericolosi tra Francia e Cina. Al centro c’è il P4 di Wuhan, un laboratorio con il più alto livello di biosicurezza che è nato da una collaborazione franco-cinese, siglata nel 2004 dopo la crisi di Sars.

Dopo le rivelazioni del Washington Post, secondo cui il virus potrebbe essere “sfuggito” da un laboratorio, i sospetti si sono concentrati soprattutto sul P4, inaugurato solo tredici anni dopo l’accordo del 2004. L’intesa è però subito arrivata ad un punto morto, tanto che il progetto di ricerca comune non sarebbe mai partito: addirittura secondo Izambard i diplomatici francesi sostengono che, nella costruzione del P4, non ci sia stata alcuna trasparenza da parte della Cina. “In principio le intenzioni erano buone - ha spiegato il giornalista - ma il problema, all’epoca come ora, è lo stesso: la politica sanitaria e biologica della Cina è poco trasparente. Sono stato a Wuhan nel febbraio 2019, ma il laboratorio non sembrava neanche operativo. Nel 2020 avrebbe dovuto ricevere la certificazione dell’Oms. Che cosa si fa esattamente nel P4 non si sa - ha chiosato Izambard - è ovvio che nascano sospetti”. 

 

 

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