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Joe Biden umiliato da islamici e comunisti, retroscena drammatico: subito dopo aver chiuso il collegamento...

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 Joe Biden

Andrea Morigi
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Quando Joe Biden ha suonato la carica dei 111 Stati al Summit per la Democrazia, la due giorni conclusasi venerdì sui diritti umani e il rispetto delle libertà fondamentali, non immaginava che, appena terminato il collegamento telematico, lo stesso presidente degli Stati Uniti d'America avrebbe dovuto sedersi sul banco degli scolari. Da ieri, il resto del mondo gli sta dando lezione. A partire dalla Turchia, schierata per cinquant' anni sul fronte occidentale e anticomunista solo grazie a una serie di dittature militari. Poi hanno preso il potere i Fratelli Musulmani, ma a Washington si sono fidati anche di loro. Fino all'altroieri, quando la Casa Bianca non li ha invitati. E loro, per ripicca, se la sono presa proprio con le piattaforme americane. Una «minaccia perla democrazia», le definisce il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, che si scaglia contro i social media e promette di «proteggere» i turchi da «bugie e disinformazione». «Descritti inizialmente come un simbolo di libertà, i social media sono diventati una delle principali fonti di minaccia alla democrazia odierna», ha affermato il presidente turco in un messaggio video in occasione di una conferenza a Istanbul. E, riporta Hurriyet, ha insistito: «Cerchiamo di proteggere la nostra popolazione, soprattutto le fasce vulnerabili della nostra società, da bugie e disinformazione». Tutto, ha rivendicato, «senza violare il diritto dei nostri cittadini a ricevere informazioni accurate e imparziali». Per Erdogan, riferisce l'agenzia Anadolu, «è importante informare l'opinione pubblica e combattere la disinformazione e la propaganda nel quadro della verità» e «nessuno, nessuna azienda può essere al di sopra della legge». Non è la chiave ideale per comprendere il motivo per il quale 18 giornalisti sono attualmente rinchiusi nelle carceri del regime di Ankara, come riporta il rapporto annuale del Comitato per la protezione dei giornalisti (Cpj).

 

 

ARMI DI DISTRUZIONE DI MASSA - Peggio ancora, la Cina, che si conferma per il terzo anno consecutivo il primo Paese in graduatoria con 50 giornalisti arrestati dall'inizio del 2021. Eppure Biden è riuscito nell'impresa di farsi insegnare le regole della civile convivenza perfino dal regime comunista di Pechino. Con la sua iniziativa è riuscito a provocare una lunga dichiarazione pubblicata sul sito web del ministero degli Esteri cinese e attribuita a un portavoce della diplomazia del gigante asiatico, escluso dal Summit per la Democrazia. «La democrazia è diventata un'"arma di distruzione di massa" usata dagli Stati Uniti per interferenze negli affari di altri Paesi», si legge nel documento che, in un clima di tensioni con Washington, accusa gli Stati Uniti di «imporre da tempo il loro sistema politico e i loro valori agli altri, spingendo per le cosiddette "riforme democratiche", abusando di sanzioni unilaterali e istigando "rivoluzioni colorate" che hanno avuto conseguenze disastrose». Per la diplomazia di Pechino, si è fatto della «democrazia uno strumento e un'arma» e gli Stati Uniti vengono accusati di voler «incitare alla divisione e allo scontro». La dichiarazione in tre punti sostiene tra l'alto che «la democrazia in stile-Usa» sia «piena di problemi», che «il percorso di un Paese verso la democrazia» non debba essere «imposto dall'esterno» ma «scelto dalla sua popolazione». «Dovremmo- conclude il testo - respingere e opporci con fermezza a tutte le forme di pratiche pseudo-democratiche e antidemocratiche».

 

 

DIRITTI UMANI VIOLATI - Sabato scorso il gigante asiatico aveva anticipato il vertice con un Libro bianco dal titolo Cina: la democrazia che funziona. L'offensiva culturale di Pechino, in realtà, ha le gambe corte. Da due giorni, gli Stati Uniti hanno varato sanzioni contro due leader della provincia cinese dello Xinjiang e contro la società SenseTime che ha sviluppato un software di riconoscimento facciale usato come strumento di sorveglianza dalla polizia. Per gli Usa, sono tutti responsabili di violazioni di diritti umani contro la minoranza musulmana uigura nella regione nordoccidentale dello Xinjiang. Secondo il Tesoro Usa «più di un milione di uiguri e membri di altre minoranze di etniche prevalentemente musulmane sono stati detenuti nello Xinjiang» sotto la guida di Erken Tuniyaz, attuale presidente di questa regione autonoma, e del suo predecessore Shohrat Zakir. Il totalitarismo comunista cinese sì che se ne intende.

 

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