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Ucraina, "tra Pechino e Mosca qualcosa è cambiato": le indiscrezioni dalla Cina spaventano Vladimir Putin

Filippo Facci
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Non è la guerra in sè, ma il suo effettivo andamento ad aver finalmente spinto la Cina - ossia Xi Jinping - a dire qualcosa di non ambiguo o di scontato a margine del conflitto tra Russia e Ucraina. La Cina la guerra non la vuole, o non la vuole più: punto, dopodiché sulle ragioni addotte ci si può esercitare a piacere. Il pretesto per dire qualcosa di chiaro è stato offerto dall'attacco russo alla centrale ucraina di Zaporizhzhia (con relativo incendio, ora domato) che in realtà non ha rappresentato in alcun modo quel potenziale «disastro sei volte peggiore di Chernobyl» denunciato dall'enfatico presidente ucraino Volodymyr Zelensky, che addirittura all'attacco russo ha associato una potenziale «fine della storia dell'Ucraina e dell'Europa», come ha detto ieri, specificando che il suo invasore «sapeva cosa stava colpendo, ha mirato direttamente il sito», come se Putin mirasse effettivamente all'ecatombe continentale. Zelensky, ex comico, ha buttato in farsa un tema serio e radicato nella memoria europea, ha addirittura giocato una mozione degli affetti e ricordato al popolo russo quando «abbiamo combattuto insieme le conseguenze di Chernobyl del 1986», anche se Zelensky all'epoca aveva solo otto anni. Ma il timore del disastro nucleare è sempre un nervo scoperto (da quelle parti, poi) e ha giustificato una presa di posizione finalmente decisa da parte della Cina, ciò che rende superflua qualsiasi ipotesi sulle eventuali connivenze o addirittura sui collaborazionismi di Xi Jinping precedenti all'inizio del conflitto.

 

 

MONITORAGGIO
Sostenere ufficialmente, come ha fatto ieri la Cina, che la stessa «è molto preoccupata per la sicurezza degli impianti nucleari in Ucraina» significa che dire è molto preoccupata per la guerra, e basta; dire che in tal senso «chiede alle parti interessate di prevenire un'ulteriore escalation» significa che non vede convenienza (indipendentemente dalle ragioni) a che la guerra continui, e basta; vederla dichiarare che «monitoreremo la situazione per garantire la sicurezza degli impianti nucleari» significa che monitoreranno la guerra, e basta. Hanno parlato il portavoce del ministero degli Esteri Wang Wenbin e il rappresentante permanente presso le Nazioni Unite a Vienna Wang Qun: è più che sufficiente. Quindi, ripetiamo, non conta più nulla ogni posizione pregressa o auspicata della Cina, se Pechino sapesse o no che la guerra sarebbe scoppiata (probabilissimo che lo sapesse) o se avesse addirittura chiesto di spostarne l'inizio a dopo i giochi invernali di Pechino, come aveva sostenuto il New York Times. Non conta neppure più, come pure aveva sostenuto il New York Times, se davvero gli statunitensi avessero sollecitato per mesi l'aiuto della Cina per fermare il disastro imminente, e se la Repubblica popolare non ci avesse realmente creduto o avesse fatto orecchie da mercante. La guerra c'è comunque, ha un andamento, ha registrato delle reazioni e delle conseguenze, e l'insieme delle cose alla Cina non piace: scusate se è poco, visto che la posizione della superpotenza cinese è in grado di spostare gli equilibri geo-politico-economico mondiali come nessun'altra, avendo la situazione retrocesso la posizione degli Usa a oppositori d'ufficio. Detto questo, quale che sia la ragione che ha stanato la Cina, è qualcosa che non può non dispiacere anche a Putin perché imprevisto da entrambi, Russia e Cina: perché davvero improbabile che quest'ultima non sapesse.

 

 

ANALIZZIAMO LE DATE
Basta guardare le date. Il 4 febbraio Putin e Xi Jinping si incontrano prima della cerimonia di apertura dei Giochi: e non hanno parlato di salto con gli sci, perché poche ore dopo ne è seguito un lungo comunicato in cui hanno definito «senza limiti» il loro rapporto, e hanno riservato parole ostili alla Nato ma soprattutto hanno paventato (per noi) un nuovo ordine globale per la vera «democrazia» (Putin e Xi Jinping, avete letto bene) dopodichè, sempre guardando le date, la cerimonia di chiusura dei Giochi cinesi è stata il 20 febbraio, la decisione di Putin di riconoscere come indipendenti le due repubbliche secessioniste Lugansk e Donetsk (situate in Ucraina) è stata il 21 febbraio, cioè il giorno dopo, che poi è lo stesso in cui il leader russo ha ordinato alle sue forze armate di prepararsi: dopodiché l'invasione massiccia dell'Ucraina è partita due giorni dopo, il 24: più che di coincidenze è il caso di parlare di un vero e proprio planning delle agende personali dei due leader. Ora, però, qualcosa è cambiato. Non lo scoppiare della guerra, ma il suo andamento. Col grande timore che, comunque vada, possa andar male a Putin ma anche all'Ucraina.

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