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Vladimir Putin, la minaccia ai capi di Stato: "Non avete capito che faccio sul serio. Sono Pietro il Grande"

Francesco Specchia
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C'è una sola immagine di Pietro Alekseevic Romanov detto Pietro il Grande, in una livida litografia della battaglia di Poltava del 1709, in cui lo zar di tutte le Russie può vagamente ricordare Vladimir Putin. Pietro è a cavallo come nella foto di Vlad a torso glabro in vacanza in Siberia, nel 2018. Entrambi ostentano lo sguardo di fiero e torvo di chi potrebbe abbattere un orso a mani nude. Entrambi riflettono sulla Grande Madre Russia che oltrepassa i confini del tempo e dello spazio, accompagnata dal canto dei cannoni e dei mortai. È quest' immagine che probabilmente fa capolino nella mente affaticata dell'uomo del Cremlino, ogni volta che - dicono - in questi giorni di guerra incontra i vari capi di Stato. 

 

 

«Voi non avete capito che io faccio sul serio, io sono Pietro il Grande...»: questa è, più o meno, la frase che il nostro autocrate si è lasciato sibilare a più d'un collega. Sta tutta qui, la narrazione roboante della guerra. Vlad che si consuma nel mito di Pëtr. Non è un caso che il presidente francese Emmanuel Macron, cinque anni fa, appena eletto, invitò Vladimir Putin a rendergli visita a Versailles, nella stessa reggia, con la stessa ipnotica galleria di specchi che ospitò, nel 1717 proprio lo zar. Lì Pietro prese in braccio il giovane Luigi XV, all'epoca appena 11enne; la sua indole migliore, il suo lato da sovrano illuminato l'aveva fatto avvicinare all'Europa trovando ispirazione per la creazione del suo impero. 

LA SCELTA
Tre secoli dopo, Putin ha fatto una scelta diversa, quella dell'isolamento e dell'aggressività, di una «nuova cortina di ferro che si abbatte di nuovo sulla Russia», scrive il Washington Post. E non è un caso, neppure, che in una recente intervista al direttore del Financial Times, Lionel Barber, alla vigilia del G20, lo stesso Putin avesse dichiarato che «il liberalismo è diventato obsoleto»; e che successivamente, richiestogli di dichiarare il suo modello di statista, il suo leader di riferimento, il glaciale Vlad avesse aggiunto, appunto: «Pietro il Grande».

Ma Pietro il Grande è morto, replicò Barber. «Vivrà finché vive la sua causa» ribatté Putin. Pietro il Grande, il creatore della Grande Russia, commentò, di rimando, il direttore del FT, «abbiamo bisogno di aggiungere altro?». In effetti, non c'è altro da aggiungere. E non è un caso, infine, che, pochi giorni dopo, sulle pagine del Corriere della sera, il professore e storico russo Roj Medvedev avesse rivelato le reali intenzioni del presidente: «Putin vuole ricreare una Russia che almeno come territorio si richiami ai confini dello zar Pietro il Grande. È ossessionato dal confronto con il passato, vuole essere ricordato, diventare una nostra icona. In questo senso, è spinto anche dall'ambizione personale. L'Ucraina è soprattutto il suo tentativo di riscrivere la Storia, deviandone il corso». Ci statutto. Nella parte antica del Cremlino, fatta di travi lavorate, di arazzi e di lignea dignità, sono ancora aperte le stanze dello zar. Viva è la fiamma del suo ricordo. Il rampollo Romanov nato a Mosca nel 1672 e morto nella città da lui fondata, San Pietroburgo, nel 1725, ebbe meriti innegabili. 

 

 

CAMBIAMENTI
Nella sua volontà di allargare il regno verso gli sbocchi marittimi (come, più o meno vuol, fare Putin oggi: annessione dell'Ucraina dalla Crimea, spinta verso il Mar Morto, creazione di uno Stato-cuscinetto, un'intercapedine con l'Europa), lo zar applicò ai suoi disegni strategie e risultati formidabili. Assunse esperti e introdusse tecnologie moderne; riorganizzò l'esercito secondo gli standard occidentali creando la prima flotta militare del suo Paese; rafforzò il potere centrale e allo stesso tempo ridusse il potere della nobiltà (Putin l'ha fatto con gli oligarchi ma non coi siloviki); costrinse i proprietari terrieri ad arruolarsi nell'esercito o a servire come amministratori il governo; limitò le frange più reazionarie della Chiesa Ortodossa (ora la Chiesa ortodossa è schierata con Putin contro l'esercito dei gay occidentali); fece pace con i turchi e dichiarò guerra alla Svezia, in possesso dei territori sulla costa baltica cruciali per l'espansione russa (Putin più volte è stato carezzato dall'idea di avvicinarsi alla Norvegia). 

Pietro investì tutte le risorse e le tecnologie del Paese in battaglie strategiche (Lesnaya 1708, Poltava nel 1709 e Gangut, 1714) tutte vinte. Non fu mai sconfitto, morì per una banale infezione urinaria. Ma per molti la sua figura non è affatto assimilabile a quella di Putin. Non certo fisicamente: Pietro era alto 2,03 metri con un piedino da ballerina numero 38; e suppongo che, oltre alle uccisioni viste da bambino durante la ribellione degli Strelzi, anche le scarpe strette potessero essere tra le cause dei suoi frequenti scatti d'ira. Vlad è solo 1,70 metri, e non è mai stato visibilmente alterato se non nell'invadere le nazioni confinanti. Ma non ci sono molti punti in comune nemmeno nella strategia. 

LE OMBRE DI STALIN
La storia racconta che due zar hanno lasciato due strade possibili per il futuro della Russia: Pietro il Grande e Ivan il Terribile. Pietro, travestito, fece un lungo viaggio in Inghilterra e Olanda; rimase, come detto, enormemente impressionato dall'Europa. Tornato in patria fondò dal nulla San Pietroburgo, nuova capitale ispirata all'architettura veneziana, e avviò le modernizzazioni. Ivan rappresentò il terrore, la violenza indiscriminata, e la totale chiusura alle tradizioni e alla cultura europea. Pietro spinse la Russia verso l'Occidente. Ivan verso Oriente. 

Per semplificare, Pietro il Grande rappresenta l'aspirazione alla democratizzazione; Ivan il Terribile al totalitarismo. Alcuni storici hanno addirittura un'altra interpretazione. «L'unico punto in comune che vedo con Pietro è la volontà della Grande Russia. Per tramandarsi ai posteri come fondatore del nuovo impero non poteva certo dire che il modello è Stalin», mi dice Marco Cuzzi docente di Storia Contemporanea all'Università Statale di Milano. «In realtà ci vedo molto nel suo atteggiamento quello che proprio Stalin assunse con l'Holodomor negli anni 30: la volontà di eliminare l'Ucraina come realtà fastidiosa, semicattolica se vogliamo e autonoma almeno fino al 1920. 

Certo, qui non c'è il genocidio, ma Hitler e Mussolini dichiararono ufficialmente che i loro modelli fossero rispettivamente Federico il Grande e Garibaldi (nel caso del Duce anche Ottaviano Augusto)». Comunque sia, il destino di Putin e l'idea di inserire se stesso nel grande Pantheon zarista sta unicamente nella sue mani. Non basta una posa a cavallo per ingannare la storia...

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