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Vladimir Putin indebolito: è il momento per provare a farlo trattare

Renato Farina
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Quando finisce una guerra? Quando uno vince e l'altro perde, e finita lì. Non si ricorda un trattato di pace, o almeno un armistizio di lunga durata, che non sia stato raggiunto dopo una chiara vittoria sul campo e la conseguente capitolazione del nemico. Il fatto è che nel conflitto mondiale in corso il candidato alla sconfitta, secondo pronostici unanimi, è la Russia di Vladimir Putin. Che si fa allora per chiudere la partita? L'Occidente ha deciso: si forniscano armi più potenti all'Ucraina e si tolga ossigeno alla Russia, così che crolli come il gigante di Rodi.

Ed è qui che sorge un problema alto come il K2. Il gigante di Rodi ha in tasca alcune migliaia di confetti atomici. Non si dà in natura che una potenza nucleare possa accettare la disfatta senza aver messo mano all'arsenale letale. Tutto porta lì. Infatti, che deterrenza sarebbe se le tue minacce squassanti sono obbligatoriamente caricate ad acqua di fonte e non puoi usare la Bomba nemmeno per salvarti la vita ed evitare il disfacimento della patria? Ne ha seimila, Putin, di ordigni nucleari pronti all'uso, e tanti di essi sono puntati da sotto i mari. Cosa dovrebbe fermarlo? La paura? Risponde: dovreste averla voi. Cos' ha da perdere lo Zar?

 

 


STILE AMERICANO
Si dice: gli Stati Uniti d'America hanno perso in Vietnam e si sono arresi in Afghanistan, in entrambi i casi se la sono data a gambe, anzi a elicotteri, abbandonando i loro sostenitori locali alla vendetta, e hanno evitato di ripetere ad Hanoi e Kabul le gesta di Hiroshima e Nagasaki. Ma è accaduto lontano dal cortile di casa, e non era in palio la propria esistenza come sistema. Per lo Zar, sostenuto da grande parte dei popoli di questo Paese immenso, invece c'è in ballo molto più che una mano di poker. Si dice: userà atomiche piccoline, bombe tattiche e non strategiche, perciò ciao, si va avanti lo stesso. Sergio Romano, ambasciatore di enorme sapere ed esperienza, ha dimostrato che sono alternative illusorie: se il killer spara con una pistola da borsetta, tipo calibro 6,35, e tiene in tasca la Magnum, chi subisce il colpo (non solo l'Ucraina ma la Nato) sa bene che la storia finisce all'ultimo sangue. Che è poi anche il nostro. Che fare? Resta l'opzione Papa: niente armi, ma fantasia diplomatica, che esige un cambiamento di linea radicale dell'Occidente. Illusioni francescane?

Mica tanto. Bergoglio ha trovato una sponda inaspettata nel campione mondiale di realismo, Henry Kissinger, che su tali questioni è piuttosto versato. L'unica possibilità è che un sassolino di umanità inceppi il fottutissimo algoritmo che ci condanna. La teoria dei giochi, che è pura matematica, annuncia l'apocalisse nucleare, e nessun potente di questo mondo si agita per fermare quel dannato ticchettio. Il Papa ci prova. Egli non indica strategie. Non c'è nessun piano che possa sistemare come nel cubo di Rubik tutti gli elementi a posto. La volontà di potenza arrivata oltre il punto di fusione non è governabile. Quindi? Il Papa propone uno sbrego alla logica inesorabile della forza, in nome di un'altra forza a cui si può dire di sì o di no, ma è infinitamente più umano dire di sì. Le sole cose interessanti accadono quando si verifica l'impossibile. L'imprevisto.

 

 


Si badi bene come ha argomentato il Papa domenica scorsa: a freddo si capisce meglio. Egli spiega che tutto congiura a trascinare la «pazzia della guerra»- dove pur sono identificabili l'aggressore (Russia) e l'aggredito (Ucraina), su questo nessun tentennamento! - alle estreme conseguenze devastatrici. E allora che propone Francesco? Il fattore umano. C'è uno spazio di libertà intangibile. Quella faccenda più potente della logica meccanica che si chiama coscienza, la quale anche se cattiva, però c'è, anche quando pare un blocco di marmo ha sempre una ferita, una crepa in cui può insinuarsi il ritorno alla ragione, una pietà, un «amore al proprio popolo», che può liberarlo dal male della guerra. Basta dire di sì a una «supplica».

Che cosa implica questo metodo francescano? Non si tratta di una letterina a Babbo Natale, che notoriamente non esiste. È un appello che investe i diretti contendenti, Putin e Zelensky. E se essi sono resi sordi dal rimbombo dei cannoni, e le loro menti annegano travolte da "lacrime e sangue" della propria gente, almeno i responsabili delle nazioni intraprendano qualcosa di impensabile. Come? «Utilizzando tutti gli strumenti diplomatici, anche quelli finora non utilizzati». Che significa? Quali strumenti non sono stati usati?


STRUMENTI DIPLOMATICI
Gli incontri personali. A non essere state utilizzate sono le amicizie, il confronto a tu per tu. Non risulta che alcun leader occidentale si sia recato da Putin. La diplomazia è, prima di tutto, tessere relazioni personali. In molti hanno teorizzato negli ultimi anni la possibile, futura scomparsa della diplomazia per via della connettività globale attraverso la tecnologia e i social. Ma il rapporto personale resta al centro delle relazioni internazionali, rimane fondamentale per raggiungere certi obiettivi di politica estera, per riuscire a trovare una soluzione alle controversie, per addivenire alla firma di un trattato internazionale, per mettere fine a una crisi...: potersi incontrare e parlare a tu per tu permette di superare gli ostacoli, fa avvicinare gli uomini.

Sono le persone che incidono, non sono i piani confezionati al Pentagono, al Mossad, alla Farnesina: si possono intavolare strategie perfette, ma se poi le persone non ci sono, non succede la pace ma la guerra. Si muova Berlusconi su delega del nostro governo, con la Merkel. Prenda un aereo Mattarella con il Papa al fianco, a Kiev e subito a Mosca. Nessuno dica: non si tratta con Putin. Si convinca Zelensky a mettersi seduto e con la cravatta. Ne va della vita di tutti.

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