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Covid, un laboratorio a Pechino: il report che cambia la storia

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Mirko Molteni
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Fin dal 2020 molti, fra cui l’ex presidente americano Donald Trump, ipotizzavano che il virus che ha poi provocato la pandemia Covid-19 fosse sfuggito dal centro di ricerca biologica di Wuhan, in Cina. Ora, dopo tre anni e varie indagini d’intelligence, dagli Stati Uniti si dichiara che «molto probabilmente il virus è fuggito da un laboratorio cinese», sebbene non si sia ancora in grado di dirlo con assoluta certezza. Niente di nuovo sotto il sole, se non che il tornare ad additare la Cina per le responsabilità nella peggiore pandemia degli ultimi decenni arriva da Washington come ulteriore stoccata a Pechino proprio in giorni che vedono salire la tensione fra le due potenze. I motivi sono ben noti, dal pallone spia intercettato sugli Usa all’appoggio cinese ai russi, alle tensioni nel Pacifico.

 

 

 

È stato il Wall Street Journal a rivelare ieri indiscrezioni su un rapporto secondo cui il Dipartimento americano dell’Energia s’è aggiunto all’Fbi nel sostenere l’origine della pandemia per negligenze nelle misure di sicurezza dei laboratori di Wuhan. Più precisamente, il quotidiano americano ha avuto accesso a un rapporto riservato elaborato dall’ufficio della direttrice nazionale d’intelligence, quella Avril Haines che coordina tutte le agenzie spionistiche statunitensi. Il documento è stato «inviato alla Casa Bianca e a membri chiave del Congresso».

Stando al Wall Street Journal si tratta dell’aggiornamento, risalente all’inizio del 2023, di un primo rapporto già prodotto nel 2021. Da esso emerge che Dipartimento dell’Energia e Fbi sono i due enti che, più degli altri, ritengono plausibile la fuga del virus dai laboratori cinesi di Wuhan. Tuttavia, «altre quattro agenzie d’intelligence», non nominate esplicitamente, ma fra le quali ci sarebbero la Cia e l’Nsa, sono assai più caute e non escludono la possibile «origine naturale del virus da specie animali». Il giornale cita indiscrezioni da anonimi funzionari, forse senatori del Congresso, che hanno letto il rapporto. Da un lato, «la Cia è indecisa sull’attribuzione delle cause della pandemia, così come un’altra agenzia non nominata». La più assertiva analisi dell’Fbi, che avrebbe invece pochi dubbi sulle colpe di Pechino e a cui il Dipartimento dell’Energia s’è accodato, si basa sulla consulenza degli scienziati del National Bioforensic Analysis Center, laboratorio specializzato che dal 2004 ha sede a Fort Detrick, in Maryland, già storico cuore del programma americano di armi batteriologiche dal 1943 al 1969. Il rapporto indica invece che su almeno una cosa tutte le agenzie americane di intelligence sono d’accordo: il virus non è stato originato da programmi cinesi di armi biologiche.

L’Fbi non ha commentato le anticipazioni giornalistiche, mentre il consigliere alla sicurezza nazionale Jake Sullivan ha chiosato: «Il presidente Joe Biden ha sempre spronato le nostre agenzie sulla questione. Per ora non c’è una risposta definitiva ed esiste una varietà di visioni. Non abbiamo abbastanza informazioni per essere sicuri». Il rapporto non è in sé risolutivo, ma non è un caso che venga usato per rievocare un legame fra Pechino e 1 milione di morti americani per Covid proprio poche ore dopo che la Cina ha affiancato la Russia evitando di firmare il documento comune del G20 sul conflitto russo-ucraino.

 

 

 

Nei giorni precedenti, a partire dall’abbattimento del pallone-spia cinese al largo delle coste Usa, si sono avvicendate le accuse americane di forniture d’armi cinesi, specie droni, alla Russia, il piano di pace in 12 punti di Wang Yi, reputato dalla Casa Bianca «filorusso» e perfino un incidente «da guerra fredda». Due giorni fa un caccia cinese Shenyang J-11 ha intercettato un aereo da ricognizione americano P-8 Poseidon dell’US Navy nei cieli delle isole Paracel, dopo che il P-8 aveva scoperto la nave da guerra cinese Changsha che s’avvicinava alle Filippine. Il J-11 di Pechino s’è avvicinato fino a 150 metri dal P-8, con manovre giudicate «pericolose» dal pilota dell’aereo americano, il tenente, donna, Nikki Slaughter. Infine, ieri lo stesso direttore della Cia William Burns ha ribadito: «Siamo convinti che la Cina stia pensando di dare armi letali a Mosca, anche se riteniamo non abbia ancora preso una decisione».

 

 

 

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