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Cina, "li conosco molto bene...": ecco il vero piano di Xi Jinping

Maurizio Stefanini
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Probabilmente il più noto sociologo della religione italiano, fondatore e direttore di un Centro studi sulle nuove religioni (Cesnur) che è la più consultata banca dati sui fenomeni religiosi in Italia, Massimo Introvigne è anche uno studioso di cose cinesi. Dal 2018 dirige infatti il quotidiano online di informazioni sulla religione in Cina Bitter Winter, ed è stato poco fa a Taipei come relatore a un “Freedom of Religion or Belief Forum” organizzato dalla National Taiwan University.

Taiwan è un Paese paria nel mondo. Eppure, un po’ tutti i soggetti che danno “pagelle” sulla democrazia, a partire da Economist e Freedom House, gli danno dei voti altissimi.
«Noi che siamo professionisti del campo e specialisti nel cercare il pelo nell’uovo riusciamo a trovare problemi pure a Taiwan. Ad esempio, dal punto di vista fiscale ci sono dei contenziosi con organizzazioni religiose quanto al trattamento dei doni. Ma sono soprattutto residui del passato. A Taiwan la nostra delegazione ha visitato il museo dei diritti umani, che è una antica prigione dei tempi del terrore bianco. Taiwan ha avuto una feroce dittatura fino al 1987. Il regime militare era anche giustificato dalla pressione cinese, però era comunque un regime in cui decine di migliaia di dissidenti sono stati incarcerati e più di un migliaio uccisi. Poi ha avuto un periodo post-autoritario in cui si facevano elezioni ma il partito del Kuomintang, cioè il partito di Chiang Kai-shek, comunque vinceva. Solo verso la fine del secolo scorso Taiwan è entrata in una vera democrazia dell’alternanza tra il Kuomintang e il partito liberaldemocratico. L’indice di libertà religiosa di Taiwan è il migliore in tutta l’Asia e anche altri indici di libertà sono molto buoni».

Eppure è non solo emarginato, ma sotto minaccia...
«E noi come europei ci siamo trovati in un momento di imbarazzo per le dichiarazioni non si sa se cretine o molto furbe di Macron. Si possono spiegare o come le stupidità tipiche di chi dà interviste in aereo, e ne sa qualcosa anche il Pontefice. Oppure può essere un segnale molto furbo, per accreditare la Francia come partner privilegiato della Cina».

Ufficialmente le autorità di Taiwan minimizzano.
«Io ho parlato sia con lo Speaker del Parlamento, sia con la presidente dello Yuan di Controllo, ed erano inferociti. Poi, chiaro, ufficialmente non è che possono dichiarare guerra alla Francia. A Taiwan in realtà, sono abituati a convivere con la spada di Damocle sulla testa, quindi non c’è nessuna reazione di panico per le manovre militari cinesi. Nessuno a Taiwan pensa a un attacco imminente».

Non è però tipico dei regimi in crisi lanciarsi in avventure esterne?
«Io i cinesi li conosco abbastanza bene. Sono un popolo di mercanti e di calcolatori molto più che i russi, che possono fare il gesto romantico per ragioni nazionaliste. Ogni azione della Cina parte da un calcolo anche economico. Possiamo essere sicuri che prima di ogni avventura faranno un calcolo costi-benefici più accurato di quello fatto da Putin».

Quindi non è più grave adesso, ma sembra più grave nella percezione internazionale perché dopo l’Ucraina a questo punto siamo diventati tutti più apprensivi?
«Vero. Anche gli ucraini dicevano no no, i russi ogni tanto ammassano le truppe al confine in modo dimostrativo e poi non fanno niente. E poi invece i russi hanno fatto. Dal punto di vista dell’economia cinese incorporare Taiwan potrebbe essere perfino un danno, perché le aziende taiwanesi in mano ai cinesi funzionerebbero peggio. Quindi dal punto di vista economico non ci sono vantaggi a incorporare Taiwan. Anche questo è diverso dall’Ucraina naturalmente, che ha delle risorse naturali che alla Russia interessano, ma Taiwan ci sono solo persone la cui risorsa è il lavoro. Lavoro e servizi, ma per i cinesi funzionano già bene così, nel senso che le aziende taiwanesi hanno sempre operato di conserva con quelle cinesi, quindi dal punto di vista economico la Cina non ci guadagna niente. Ci guadagna dal punto di vista dell’immagine di Xi Jinping, come grande riunificatore dell’impero cinese».

Ma l’Esercito Popolare di Liberazione ha la capacità di occupare Taiwan?
«Taiwan ha un esercito vero, però circondare un’isola e occuparla, per un esercito immenso dal punto di vista dei numeri come quello cinese non è impossibile. Poi naturalmente ci sono le montagne, ci sono le foreste, e quindi ci potrebbe essere una lunga resistenza, però è chiarissimo a qualunque taiwanese che senza l’aiuto degli americani loro la guerra con la Cina non la possono vincere».

C’è una dialettica storica tra nazionalismo cinese e nazionalismo taiwanese...
«Il Kuomintang aveva l’idea non di riunificarsi con la Cina nel senso di diventare una appendice della Cina, ma che fosse la Cina a diventare una appendice di Taiwan. Naturalmente poi passa molta acqua sotto ai ponti, e ormai la nuova generazione di taiwanesi, quella che ha portato al potere la presidente Tsai, ha sviluppato una identità taiwanese che non è più l’identità cinese, quindi indipendenza o no... Poi, naturalmente, per vivere senza spada di Damocle, fino a qualche anno fa sicuramente un tema elettorale di cui si poteva discutere era quello “Un Paese Due Sistemi”. Ma dopo quello che è successo a Hong Kong non ci crede più nessuno che i cinesi rispetterebbero promesse come quelle che non hanno mantenuto su Hong Kong». 

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