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Patrick Zaki, la mano pesante dei servizi segreti egiziani

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Fabrizio Cicchitto
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Vogliamo prendere di petto la liberazione di Patrick Zaki. Senza autocensure diplomatiche. È merito di questo governo comunque essersi rioccupato del Mediterraneo dopo che non solo l’Italia, ma l’Occidente intero, si era ritirato da esso dopo la criminale operazione contro Gheddafi promossa da Sarkozy, il quale voleva fare scomparire le prove dei finanziamenti ricevuti dalla Libia in una operazione sostenuta da Obama e dalla Clinton mentre la Merkel si era sfilata.

Berlusconi invece era totalmente contrario per ragioni di lealtà personale e anche perché sapeva che l’operazione era contro l’Italia e i suoi interessi e perché così la Libia veniva totalmente destabilizzata in quanto si faceva fuori un dittatore che gestiva capitali non sostituendolo né con un governo democratico né con un altro dittatore.

 

Berlusconi fu chiuso in una morsa, in primo luogo da Napolitano, che aveva con l’Ue e gli Usa lo stesso rapporto che nel 1956 aveva con l’Urss ai tempi dell’Ungheria, e poi dal Pd, entusiasta dell’intervento così come i ministri La Russa e Frattini. Dopodiché quei Paesi sono stati abbandonati a sé stessi e quindi alle azioni della Russia e della Turchia. In quei Paesi o ci metti armi, soldi e servizi o fai la figura della squadra di ragazzi. Così sono anni che l’Italia, l’Ue e gli Usa avrebbero dovuto intervenire in Tunisia e non hanno fatto niente.

Allora in questo contesto se vuoi salvare Patrick o lo recuperi con un impossibile colpo di mano o trattando e parlando con al-Sisi in caso diverso lasci Patrick a marcire in carcere. Mentre il caso Regeni è molto complicato: premesso che i servizi egiziani sono rozzi, brutali e criminali, la vicenda è partita male sin dalle origini. Quei servizi hanno avuto la sensazione che egli fosse un agente inglese ciò anche a causa della tutor di Cambridge che, non si sa se per malizia o per stupidità, diede a Regeni il compito di fare uno studio sul sindacato ambulanti che rappresenta un pezzo del regime. Regeni parlò col capo di quel sindacato, si rifiutò di dargli dei soldi e quello lo denunciò ai servizi e subito scattò l’operazione selvaggia e criminale. Per essi si trattava di un italiano, spia degli inglesi e così, essendo appunto rozzi, brutali e criminali, non ci andarono troppo per il sottile. Quando si seppe che Regeni era scomparso ci fu una reazione durissima da parte del nostro ambasciatore Massari.
Allora deve essere scattata qualche altra iniziativa tempo prima.

 

L’Eni aveva fatto una grande operazione proprio in Egitto per nuovi giacimenti di petrolio vincendo la concorrenza francese e inglese. Una volta che i servizi egiziani si accorsero dalla reazione dell’ambasciatore italiano e che avevano per le mani una vittima pericolosa, avrebbero potuto far scomparire il cadavere nel deserto. Invece il cadavere di Regeni, orribilmente torturato, fu ritrovato in un posto frequentato e portato all’obitorio dove con la forza fece irruzione l’ambasciatore Massari. Tutto ciò avvenne in concomitanza con l’arrivo di una delegazione di imprenditori italiani con la ministra Guidi. 

A quel punto tutto saltò per aria: la nostra delegazione interruppe i suoi lavori e tornò in Italia ed esplose il caso Regeni. Alla luce di questa successione dei fatti, è forte l’impressione che allora si sia aperta anche una faida all’interno dei servizi egiziani e che una frazione di essi, filofrancese o comunque antitaliana, ha voluto fare scoppiare il caso proprio avendo di mira la partita sui nuovi giacimenti petroliferi su cui l’Eni era arrivato in anticipo rispetto ai concorrenti. Questa sommaria ricostruzione dei fatti dimostra che il governo, la diplomazia e i servizi del nostro Paese si sono mossi bene per recuperare Patrick.

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