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Israele, la sinistra non capisce: chi critica vuole il male degli arabi

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Giovanni Longoni
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Tutti quelli che in questi giorni si ergono a difensori dei diritti palestinesi o si riempiono la bocca di assurdi slogan sulla apartheid in Israele, non hanno capito nulla di ciò che sta accadendo in Medioriente. Ignoranti o in malafede che siano, proviamo a spiegare la realtà in modo semplificato. A portata di intellettuale.

1) Gli Accordi di Abramo sono quel processo di normalizzazione dei rapporti fra Israele e gli Stati Arabi innescato dal Donald Trump. Da subito hanno avuto successo, non si sa se per il fiuto politico del bestione col ciuffo rosso o semplicemente per il suo innegabile culo. Sono proseguiti anche quando alla Casa Bianca si è insediata l’amministrazione Biden la quale ha fatto di tutto per indispettire le leadership saudita ed israeliana. Tuttavia, la voglia di pace è così forte che i contatti sono proseguiti, nonostante i democratici Usa, e hanno conosciuto alla fine dell’estate una decisa accelerazione.

2) Ecco gli eventi salienti: il 12 agosto Riad nomina per la prima volta un ambasciatore non residente presso l'Anp, riconoscendone l'esistenza nei confini che ha oggi e preparando così il parallelo riconoscimento di Israele. Il 10 settembre gli israeliani spediscono una delegazione nella capitale saudita per assistere a un summit Unesco, un passo senza precedenti dato che i due Paesi non hanno relazioni diplomatiche ufficiali. Il 26 settembre addirittura il ministro del turismo di Netanyahu è a Riad per un evento Onu. Nel frattempo, il 15 settembre, Abu Mazen aveva mandato una delegazione (guidata da suo figlio Yasser) in Arabia per discutere dello storico passo. Già il 31 agosto Ramallah aveva posto le sue condizioni: riapertura delle trattative, un consolato Usa per i palestinesi a Gerusalemme est, garanzie contro nuovi insediamenti di coloni e, come al solito, una montagna di quattrini. Al tempo stesso Washington, rinsavita, accordava a Mohammed Bin Salman le garanzie di natura militare che il principe chiedeva. A settembre insomma la pace in Medioriente era a un passo e i palestinesi sarebbero stati i primi a goderne e avevano dato il loro via libera.

3) Gli accordi di Abramo, per usare la meschina espressione di Antonio Guterres sul jihad, «non sono avvenuti in un vacuum». Da decenni ormai gli Stati Arabi sunniti si sono accorti che Israele non è un pericolo per loro anzi il vero elemento di instabilità nell'area è il nemico giurato di Israele, cioè l'Iran. Fu Khomeini, mammasantissima sciita, a inventare quel miscuglio di islam e terzomondismo sinistrorso dal quale si è sviluppato anche il jihadismo sunnita. Ed è stata Teheran a coagulare attorno e sé l’eterogenea alleanza dell’islam rivoluzionario che va dai Fratelli Musulmani (di cui Hamas è parte) all’inquieto Qatar e da Hezbollah alla Turchia di Erdogan dalle ambizioni, sempre frustrate, di egemonia regionale. Tutti attori marginali nella galassia islamica, con l'eccezione della potente Fratellanza. È da questo blocco poco omogeneo che sono nate le primavere arabe, rivoluzioni il cui obiettivo era la presa del potere attraverso la rimozione dei regimi autoritari esistenti. Regimi che, alla fine, hanno sconfitto i tentativi di spodestarli.

4) La pace è più vicina che mai ma Israele non ha capito che proprio per questo motivo la parte perdente, cioè il blocco iraniano, già provato dalle rivolte interne contro l’imposizione del velo alle donne, avrebbe fatto di tutto pur di provocare il collasso gli accordi. Anche un tentativo di suicidio collettivo come quello che Hamas sta mettendo in atto. Israele non ha commesso errori tattici o tecnici. Semplicemente, gli ebrei sono stati ingenui. Eppure avevano avuto tutte le avvisaglie della tempesta in arrivo. Quando Eli Cohen, ministro degli esteri, incontrò a Roma, sul finire di agosto, la sua controparte libica, la signora Najla al-Manghoush, gli israeliani, entusiasti del successo, fecero uscire la notizia. Risultato: una rivolta popolare in Libia che costrinse il governo a silurare la ministra stessa. Gli ebrei sono ingenui perché amano gli arabi. Certo, se attaccati, rispondono con durezza. Ma farebbero lo stesso con chiunque cercasse di distruggerli. Amano gli arabi a tal punto che si dimenticano che i trattati di pace e mutuo riconoscimento li stanno facendo con le élites, non con i popoli. Questo porta all’ultimo punto.

5) La posizione degli Stati Arabi. Israele tratta con i governi, ma la popolazione araba e islamica in generale resta avversa alla pace con loro. Più lo Stato arabo è povero e popoloso e meno la sua leadership si può permettere aperture a Netanyahu. E comunque tutti, indistintamente, temono la rivolta islamica. Cioè una nuova Primavera araba. La politica vorrebbe che Israele avesse l’appoggio anche militare degli arabi contro i terroristi di Hamas, per di più venduti agli sciiti. Purtroppo ciò non avviene peri motivi detti sopra. In sintesi: è Netanyahu che lavora per la pace, perfino per i palestinesi. È Hamas che lotta perché la guerra continui fino alla distruzione di uno dei contendenti. Anche uno di sinistra riuscirebbe a capirlo. 

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