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Medio Oriente, flotta di mille barche contro Israele

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Un’armata brancaleone di antisemiti, gonzi pro-Palestina (e quindi pro-Hamas) e attivisti contro la guerra. È quella che prenderà il mare oggi, dalla località costiera turca di Antalya, diretta verso la costa meridionale di Israele dove, dopo uno scalo a Cipro, dovrebbe giungere nel fine settimana.

Lo scopo dichiarato della flottiglia, che dovrebbe essere composta dalla bellezza di mille imbarcazioni, è quello di mettere in atto un contro-blocco navale (rispetto a quello verso la Striscia di Gaza del quale gli israeliani sono accusati da anni) ai danni di Israele, impedendo l’arrivo di navi e rifornimenti al porto di Ashdod, che si trova a una trentina di chilometri a nord del confine con la Striscia di Gaza ed è il secondo per importanza nel Paese, dopo quello di Haifa.

I dettagli dell’operazione li ha forniti il responsabile turco della flottiglia, Volkan Okcu in una intervista al sito di news turco haber7.com. «Ci saranno almeno mille imbarcazioni, per lo più barche a vela e piccoli cabinati a motore, che avranno a bordo circa 4.500 persone provenienti da circa 40 Paesi nel mondo, tra i quali Russia, Spagna, Stati Uniti, Francia, Germania, Gran Bretagna, Polonia. Si tratta di persone che hanno aderito spontaneamente all’iniziativa».

 

SCUDI UMANI
Da notare che Okcu non ha esplicitamente nominato l’Italia tra i Paesi dai quali provengono gli attivisti, ma è da escludere che dell’armata brancaleone non facciano parte nostri connazionali. Da notare, anche, il fatto che quasi un terzo delle imbarcazioni abbia bordo attivisti russi e che, a parte una dozzina di imbarcazioni battenti bandiera turca, non vi siano state adesioni all’iniziativa da parte dei Paesi arabi.

Ci saranno, invece, ha assicurato Okcu, ebrei anti-sionisti. «Il nostro è un atto di disobbedienza civile contro il disumano massacro messo in atto a Gaza da Israele. Per questo, bordo delle nostre imbarcazioni non ci saranno armi di alcun genere». Pare, invece, che alcuni dei marinai pro-Hamas intendano portarsi dietro compagne, mogli e persino figli (magari piccoli).

Insomma, il piano degli amici dei terroristi è quello di sempre: mettersi in mezzo, con tanto di donne e bambini, spingere Israele all’inevitabile reazione e poi piangere e strillare, accusando gli israeliani di essere dei guerrafondai e di non rispettare i diritti umani.

Era andata così anche nel 2010. Nella primavera di quell’anno, sempre dalla Turchia, aveva preso il largo, con la benedizione del presidente turco Recep Erdogan, quella che venne soprannominata dai media internazionali la “Freedom Flotilla”, la flotta della libertà. Raggiunto il mare antistante la costa meridionale di Israele, la flottiglia aveva messo in atto manovre di disturbo nei confronti dei navigli che si avvicinavano al porto di Ashdod.

Finché gli israeliani avevano deciso di porre fine alla pagliacciata salendo a bordo della “nave madre” della flottiglia, la Mavi Marmara. Siccome gli attivisti tanto pacifici non erano (e chissà se lo saranno davvero, questa volta), ne scaturì uno scontro tra soldati israeliani e occupanti dell’imbarcazione, che finì con un tragico bilancio: dieci morti e decine di feriti, tra i quali anche dieci soldati israeliani.

In conseguenza di quello che i media e i Paesi anti-israeliani, definirono «un attacco ingiustificato», la Turchia ruppe le relazioni diplomatiche con Israele, quelle stesse che, prima del 7 ottobre scorso, stava cercando di riallacciare. Decine e decine di attivisti della Freedom Flotilla furono arrestati dalle forze di sicurezza israeliane, compresi anche sei italiani, rilasciati pochi giorni più tardi.

BLOCCO NAVALE
Il piano della flottiglia-bis è quello di «ostacolare le imbarcazioni in arrivo o in partenza da Ashdod per almeno una settimana, magari anche dieci giorni» ha dichiarato Ocku. Rispetto alla tregua di quattro giorni annunciata ieri, la tempistica non pare particolarmente azzeccata, visto che le mille imbarcazioni arriveranno davanti alla costa israeliana proprio quando le operazioni militari dovrebbero riprendere. Ma, forse, è proprio quello lo scenario nel quale i “pacifisti” intendono ritrovarsi.

 

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