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Tim Walz, il vice-Kamala per i cinesi è una star

Mirko Molteni
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Avendo scelto come suo candidato vicepresidente il governatore del Minnesota Tim Walz, 60 anni, al posto del pronosticato collega della Pennsylvania Josh Shapiro, che sarebbe stato il primo potenziale vicepresidente ebreo degli Usa, Kamala Harris si guarda ora da gran parte della stampa anglo-americana, che ha ricordato i legami di lunga data di Walz con la Cina. Un contrasto col guanto di ferro usato dal rivale Donald Trump nel suo mandato del 2017-2021 verso Pechino, specialmente nei dazi doganali, che il candidato repubblicano promette di ripetere se rieletto.

Walz viene da una carriera di professore di geografia e già nel 1989 trascorse un anno in Cina a insegnare alla Scuola Superiore n.1 di Foshan, nella provincia del Guangdong, secondo un programma dell’università di Harvard. Era lì nel periodo in cui il regime comunista di Pechino aveva appena represso nel sangue le dimostrazioni di piazza Tienanmen del giugno 1989. Tornato nel 1990 in America e intervistato da un giornale locale, disse che «non c'è limite a ciò che i cinesi possono fare se guidati da dirigenti capaci». Walz s’è sempre mostrato sensibile al problema dei diritti umani in Cina e quando sposò sua moglie Gwen il 4 giugno 1994, quinto anniversario di Tienanmen, «perché volevano una data memorabile».

 

 

 

In seguito, lui e la moglie hanno organizzato per molto tempo viaggi di studenti americani in Cina, lodandola sempre come «un paese straordinario», secondo il programma denominato Educational Travel Adventures. È vero che da membro del Congresso, quando dal 2007 al 2019 era deputato alla Camera, ha criticato il lato dittatoriale del regime, anche incontrando il Dalai Lama nel marzo 2018 e mostrando interesse per la causa del Tibet. Ma il suo atteggiamento verso il mastodontico Paese è sempre stato troppo morbido in proporzione al potenziale pericolo che il Drago rappresenta per l’influenza dell’Aquila americana nel Pacifico.

In una recente intervista, rammentata ieri dal Daily Mail, ha detto esplicitamente che non avrebbe accettato l'idea che la Cina possa essere un avversario: «Ho vissuto in Cina e ci sono stato circa 30 volte. Chi dice di essere esperto di Cina, forse non dice il vero, poiché è un paese complesso. Ma è criticamente importante per noi. Non cadrò nel luogo comune secondo cui la Cina necessariamente richieda una relazione da avversario, ne dissento totalmente». Parole sospette che hanno spinto nelle scorse ore il repubblicano Richard Grenell, ex-direttore, nel 2020, durante la presidenza Trump, della National Intelligence, l’organo che coordina fra loro CIA, FBI ed NSA, a lanciare avvertimenti su un vicepresidente troppo “China friendly”. Stando al New York Post, ha twittato Grenell: «La Cina comunista è molto felice della scelta di Tim Walz da parte di Kamala. Nessuno è più pro-Cina del marxista Walz».

L'impressione è quindi che, se anche il professor Walz abbia criticato il regime cinese per la gestione dei diritti, lo abbia fatto secondo quell'ottica, nota anche in Italia, dei “compagni che sbagliano”, mostrandosi in generale indulgente verso Pechino. La fascinazione per la Cina, prima di tutto, insomma. Noto è il suo retroterra di sinistra, ciò che lo ha favorito rispetto a Shapiro per equilibrare le correnti dei dem e far digerire la Harris. E che nel Partito Democratico ci sia una lobby pro-cinese è noto fin dal 1996, quando emerse il Chinagate relativo ai fondi che da Pechino arrivarono alla campagna elettorale per la rielezione di Bill Clinton. Anche le campagne di Barack Obama, fra 2008 e 2012, avrebbero beneficiato di numerosi contributi provenienti dalla Cina.

Nulla da stupirsi quindi che Walz si proponga come vicepresidente degli Stati Uniti facendo finta di niente, ad esempio, sul “bullismo navale” che Marina e Guardia Costiera cinese fanno da mesi nei confronti delle Filippine, uno dei maggiori alleati di Washington nella regione, per il controllo di isole e zone di mare pescose. Né sulle centinaia di silos sotterranei per il lancio di missili nucleari che i cinesi stanno scavando nei deserti del Gansu e dello Xinjiang. E se anche da governatore del Minnesota abbia promosso investimenti fra il suo stato e Taiwan, il suo approccio è più “pacifista” e incentrato sul commercio. È difficile immaginarlo da vicepresidente mentre sprona la “comandante” Harris a bombardare le basi aeree cinesi in risposta a un'eventuale aggressione all'isola taiwanese.

 

 

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